Inghilterra, 30 marzo 1924. Mentre i Niven, gli Sheringham e gli Hobday, tre facoltose famiglie accumunate da una lunga amicizia nonché dai lutti subiti nella Grande guerra, s’incontrano a pranzo per la festa del Mothering Sunday, alla giovane cameriera Jane, che lavora presso i Niven, è concesso il pomeriggio libero. La ragazza ne approfitterà per incontrare Paul, rampollo degli Sheringham, con il quale intrattiene una relazione segreta da molti anni. Forse sarà il loro ultimo incontro: è imminente il matrimonio di Paul con Emma, la figlia degli Hobday, unione che lascia freddi i due futuri coniugi ma che è stata pianificata per saldare ancor più il legame tra le famiglie.
Presentato al festival di Cannes l’anno scorso, "Secret Love" (in originale "Mothering Sunday"), è un ambizioso adattamento del romanzo del 2016 dello scrittore britannico Graham Swift. La regista francese Nina Husson, qui al suo terzo lungometraggio, adotta la lunga giornata di festa come partitura principale sulla quale innestare continue variazioni, atte a scardinare la stasi narrativa con eventi, dettagli, epifanie, procedendo dunque per accumulazione. La domenica si dipana in due luoghi distanti, incomunicabili, una rappresentazione plastica di stati d’animo e di vite inconciliabili. Gli interni, quelli della casa di Paul, sono disordinati; l’eleganza formale delle stanze viene manomessa dal ragazzo e da Jane, che si lasciano andare alla loro passione, aggirandosi nudi, spaesati, inermi di fronte alla fredda dimora e al futuro. La loro relazione è atipica ma totale, un vero amore dalle sfumature contrastanti, a volte persino incestuose, quasi come fossero due membri della stessa famiglia, oppure mercenarie, a causa della differenza di ceto. Gli esterni vedono, invece, il rigido banchetto all’aperto delle tre famiglie, conformi nei loro inappuntabili vestiti, tra smorfie controllate, assoluto contegno e malcelato disappunto per il ritardo di Paul, atteso invano per tutto il pomeriggio.
All’interno del racconto principale, in "Secret Love" seguiremo altresì l’evoluzione di Jane, che negli anni successivi abbandonerà la campagna e il lavoro dai Niven per un posto come commessa in una libreria di città, e si legherà a Donald, un filosofo. La ragazza completerà il suo apprendistato diventando un’autrice affermata, scrivendo un romanzo che è proprio il racconto di quella giornata del 30 marzo. Dunque, ciò che in parallelo vediamo accadere, riguarda forse dei personaggi di finzione, o quantomeno, anche se autobiografici, sono la versione romanzata della realtà. Ancora più avanti nel tempo, ai giorni nostri, l’ormai anziana Jane affronterà con disillusione la notizia di aver ricevuto l’ennesimo premio letterario.
Tutto ciò non può far tornare alla mente un altro, più fortunato, film britannico: "Espiazione". Difatti, la campagna inglese, la relazione tra due giovani appartenenti a lontane classi sociali, la guerra che incombe (dal passato in "Secret Love", mentre in "Espiazione", ambientato prevalentemente nel 1935, si avvertivano i prodromi della Seconda guerra mondiale che poi irrompeva nella vita dei protagonisti), la musica come sovrastruttura narrativa, la scrittura come rielaborazione della realtà (la vecchia Jane interpretata da Glenda Jackson fa il paio con la Briony anziana di Vanessa Redgrave) sono tutti elementi che legano questo film alla pellicola di Joe Wright del 2007. Eppure, mentre nel dramma firmato dal regista inglese la costruzione narrativa per flash forward sfasava il piano della temporalità mettendo sì in dubbio la veridicità dalla rappresentazione, ma costituendo un solidissimo meccanismo di creazione del pathos, nel film della Husson ciò crea una lacerante dispersione narrativa e di sgonfiamento delle emozioni. Difatti, la prima ora del film, adornata da una colonna sonora suggestiva ma troppo in primo piano, si snoda come un infinito prologo che non riesce a soddisfare le attese per la tragedia che, inevitabile, si abbatte su Jane, Paul e gli altri. Inoltre, il focus slitta continuamente dalla relazione tra i due amanti a quello, meno pervasivo, della formazione letteraria di Jane e il segreto che ne sta dietro, per toccare ancora le corde del dramma esistenziale (la ragazza è orfana).
Anche il cast offre il fianco a qualche perplessità: se è vero che Odessa Young è incisiva nella parte di Jane (ma molto meno nella sua versione da "intellettuale"), Josh O’Connor non sfrutta i tormenti e le sfaccettature che Paul, il suo personaggio, potrebbe offrire. Ai due pezzi da novanta del film, Colin Firth e Olivia Colman, sono assegnate due parti minori ma, se l’attore inglese riesce con poche scene a fornire l’impressionante versione di un uomo incompreso negli affetti eppure dignitoso, la Colman è relegata colpevolmente a un quasi cameo da maschera dolente.
cast:
Odessa Young, Josh O’Connor, Colin Firth, Olivia Colman
regia:
Eva Husson
titolo originale:
Mothering Sunday
distribuzione:
Lucky Red
durata:
110'
produzione:
Elizabeth Karlsen, Stephen Woolley
sceneggiatura:
Alice Birch
fotografia:
Jamie D. Ramsay
scenografie:
Helen Scott
montaggio:
Emilie Orsini
costumi:
Sandy Powell
musiche:
Morgan Kibby