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recensione di Matteo Pernini
7.5/10

la scelta di anne événement

Francia, 1963. François Truffaut ha appena ultimato di cantare il sorriso di Jeanne Moreau e la libertà del suo approccio alle relazioni amorose nel capolavoro "Jules e Jim". Nel mentre Jean-Luc Godard, a Roma, ma con cast e sguardo parigini, si prepara a fissare su pellicola il corpo nudo di Brigitte Bardot in quella che è divenuta la più celebre inquadratura de "Il disprezzo". È in questo clima di pulsioni libertarie e di gesti improntati alla disinvoltura e alla spigliatezza che prende corpo, in un paesino ai margini dei consessi intellettuali della capitale, il dramma – vero e tradotto in romanzo autobiografico dalla scrittrice Annie Ernaux – di una studentessa di Lettere rimasta involontariamente incinta e intenzionata a interrompere la gravidanza per non compromettere le sue aspirazioni e quella carriera accademica che le consentirebbe di evadere dai legacci della vita in provincia. Tuttavia, nella tumultuante Francia degli anni 60, l’aborto è un crimine e alle giovani è richiesto di scegliere: la prigione o il rischio di morire durante gravose chirurgie clandestine.

Nel discutere brevemente il film che ha meritato il Leone d’oro alla settantottesima Mostra del Cinema di Venezia vorremmo partire da un dato del tutto marginale, una di quelle notiziole di colore che ingombrano la sezione "curiosità" delle schede wikipediane: in occasione di una scena in cui la protagonista cerca di procurarsi autonomamente un aborto uno spettatore, durante la prima veneziana, ha accusato un leggero malore ed è stato accompagnato fuori sala. Sebbene la vulgata festivaliera sia largamente costellata di eventi simili – di cui il più noto è, forse, il vociferato abbandono delle poltroncine da parte della giuria cannense nel mezzo del granguignolesco "A l’interieur" – e nonostante l’episodio in oggetto sia stato immediatamente derubricato a mera coincidenza dai soccorritori, esso ci appare in qualche modo simbolicamente rilevante, nella misura in cui, pur senza ricorrere all’intervento dei paramedici, molti spettatori, al pari di chi scrive, si sono premurati di voltare brevemente il capo ai primi gemiti della ragazza. E tutto ciò, si badi, senza che l’atto fosse in vista, di modo che quello da cui ci si è istintivamente difesi è anzitutto una fantasia suscitata in noi dai pochi gesti in campo della protagonista e dall’alterazione dei lineamenti del suo volto in preda al dolore.
In sostanza, come Tippi Hedren in una celebre scena del capolavoro di Alfred Hitchcock "Gli uccelli" [1], siamo arretrati non di fronte a un oggetto (là i minacciosi volatili, qui una non meno disturbante immagine), ma alla sua sinistra evocazione e al precipitato di suggestioni da essa rilasciato nella nostra immaginazione.

Nulla di nuovo, si dirà, e in fondo ne conveniamo: non è certo, "La scelta di Anne – L’Événement", il primo film a lavorare sul fuoricampo per accrescere il turbamento dello spettatore, tuttavia l’abilità di Audrey Diwan, giornalista e scrittrice qui alla sua seconda prova dietro la macchina da presa, è nell’insistere sulla precarietà di una visione che ci è progressivamente negata sino a lasciarle prender corpo, sul finale, in una immagine che finalmente esige il nostro sguardo.
Vi è certo, in questo, la naturale reminiscenza del Cristian Mungiu di "4 mesi, 3 settimane, 2 giorni", ma se là le similari vicissitudini di una giovane nella Romania di fine anni 80 assumevano la forma di una più generale denuncia verso un potere che assoggetta i corpi all’autorità insindacabile di una normativa invadente, nel film della Diwan la focalizzazione dello sguardo verte anzitutto sull’individuo. Quel corpo che in Mungiu era a tutti gli effetti elemento metonimico – e la cui pregnanza passava attraverso una messa in quadro di clinica precisione – è qui spazio ove si produce l’orrore di un agente estraneo che vi penetra e lo consuma.

Che sia l’iconografia del parassita quella chiamata a simboleggiare l’indesiderata gravidanza può, forse, sorprendere, ma è in fondo una delle principali intuizioni dell’autrice, che ha l’acume di rileggere l’ingente cinematografia dedicata al tema dell’aborto clandestino secondo la lente deformante del genere. Se in tanta cinematografia di paura ci si premura di proteggere il feto da ripetuti assalti esterni – quando non veri tentativi di asporazione coatta, si veda il citato "A l'interieur" –, ne "L’événement" esso è meticolosamente infilzato, ferito, rigettato, in una prospettiva che vede la protagonista ricalibrare costantemente la relazione col proprio corpo a seconda del manifestarsi dei "sintomi".
Costretta a confrontarsi con l’incomprensione di medici insidiosi che le propinano di proposito farmaci inefficaci, una popolazione maschile di tremenda inaffidabilità, amiche subito disposte a emarginarla e impegnata altresì a lottare con i frequenti malesseri e l’obbligo di celare l’addome in rapida crescita, Anne agisce con determinazione pressoché assoluta e il film, aderendo al suo punto di vista, scansa con intelligenza qualsiasi dibattito sulle motivazioni. Da qui la precisione di una messa in scena di estrema asciuttezza, in cui le psicologie sono immediatamente leggibili e la drammaturgia procede svelta e senza intoppi grazie alle accurate cesure di montaggio – si veda il finale, che mantiene la concentrazione del racconto senza che la rapidità dei passaggi insidi la pienezza di una catarsi. Come la sua protagonista, il film della Diwan evade qualsiasi problematicità che non sia di ordine pratico e corre dritto al punto, senza tirare il fiato.

È dunque, "L’Événement", un film fisico, che si attacca al corpo della protagonista per mezzo di una regia che ne mima l’ossessione stringendo i margini dello schermo nello spazio soffocante di un formato 4:3 sempre ingombro di materia, nuche, volti, mani, pelle. E si appiccica, altresì, al cervello dello spettatore, impiastricciandone l’immaginazione con la suggestione del non-mostrato.
Il rischio, a fronte dell’argomento, è chiaro: inciampare nell’ordinarietà di un compitino a tema. Audrey Diwan elude il problema senza neppure dare l’aria di esserselo posto, tanta è la naturalezza con cui procede questo racconto morale che nulla inventa e, al contempo, si configura come uno dei migliori esempi di Cinema Politico degli ultimi anni. Si badi, con entrambe le maiuscole, dacché non v’è una dimensione che sopravanzi l’altra e se la visione, asciutta sino alla scabrosità, è innervata da uno sguardo che ha già scelto la sua parte e le sue ragioni, questa stessa scelta di campo prende forza e si dà unicamente per tramite della messa in scena.


[1] "Melanie Daniel (il personaggio di Tippi Hedren nel film, ndr) l’ho ripresa intenzionalmente a distanza, perché ho voluto mostrare che si ritirava davanti al nulla. Da cosa si ritirava? È spinta sempre più contro il muro. Si sposta indietro, si allontana, ma non sa neanche da cosa si allontana." Cfr. F. Truffaut, Il cinema secondo Hitchcock, Il Saggiatore, Milano, 2014, p. 239.


27/09/2021

Cast e credits

cast:
Anamaria Vartolomei, Kacey Mottet Klein, Luàna Bajrami, Louise Orry Diquero, Sandrine Bonnaire, Anna Mouglalis


regia:
Audrey Diwan


titolo originale:
L'événement


distribuzione:
Europictures


durata:
100'


produzione:
Rectangle Productions, France 3 Cinéma, Wild Bunch, Srab Films


sceneggiatura:
Audrey Diwan, Marcia Romano


fotografia:
Laurent Tangy


scenografie:
Diéné Bérété


montaggio:
Géraldine Mangenot


costumi:
Isabelle Pannetier


musiche:
Evgueni e Sacha Galperine


Trama
Francia, 1963. Anne, studentessa di lettere, rimane accidentalmente incinta. Per tenere il bambino dovrebbe rinunciare agli studi, alle sue ambizioni, alla possibilità di migliorare le sorti economiche della famiglia e non è intenzionata a farlo. Sennonché in quegli anni, non così remoti, l’aborto è ancora un reato e la scelta per le giovani che lo vogliano praticare è tra la prigione e il rischio di morire nel corso di operazioni chirurgiche clandestine.
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