Nel percorso di un autore ci sono film che, indipendentemente dall'importanza o dalla loro riuscita, rappresentano un punto di svolta, o quantomeno il segno di un cambiamento. Per Daniele Gaglianone questo film potrebbe essere "Ruggine", appena visto in una sezione collaterale del festival veneziano e passato alle cronache, più per la sensibilità dei soliti parrucconi, spaventati dalla presenza dell'elemento pedofilo, che per i meriti artistici. Reazioni prevedibili, ma alla luce dei fatti sensazionalistiche, perché se è vero che l'elemento drammatico del film, quello che lega i due diversi piani di narrazione, il passato ed il presente dei personaggi coinvolti, è rappresentato dal Dottor Boldrini, un pedofilo dai tratti malati e canaglieschi, pronto a sfogare la propria deviazione su un gruppo di bambini di una periferia del nord Italia, industriale e proletaria, è ancora più evidente la voglia del regista di guardare in faccia al male, e di mostrare le conseguenze che lo stesso ha nella vita delle persone.
Ed ecco allora una delle novità di cui si parlava all'inizio, non più registrazione fenomenologia del dato a partire dall'ambiente, ma il processo inverso, con un indagine che comincia dai caratteri, e poi si riversa all'esterno, ricostruendo il mondo in maniera emotiva, più che sociologica. Basterebbe la scena iniziale, girata in uno spazio indefinito, con i due bambini a scambiarsi le rispettive sensazioni: in mezzo a loro c'è solo il buio ed il pulviscolo di una luce dorata, la stessa che ritroveremo lungo il corso della loro odissea. Poi, come in una fiaba, quel mondo si popola di oggetti, di persone, di luoghi: il deposito abbandonato diventato un castello in cui organizzare le scorribande, il prato di fronte a casa simile ad una prateria sconfinata, i compagni di gioco ed anche il quartiere dormitorio, dove ritornare fino all'inizio del nuovo giorno. Gaglianone ricostruisce quel paesaggio seguendo le coordinate dei suoi protagonisti. Lo ordina con gli occhi di un bambino e lo mitizza come si fa con le nuove scoperte. Un processo di interiorizzazione analogamente usato per la rappresentazione del male, quello assoluto (anche se poi, e forse con un eccessiva ridondanza, Gaglianone ne dà una spiegazione patologica), introdotto con una sequenza metafisica, con la macchina guidata dal medico a delineare la strada con un movimento ondivago, quasi casuale, come se volesse celare i suoi veri intenti. Immagini a velocità ridotta, luce sovraesposta, assenza di rumori di fondo. Da una parte i bambini persi nelle loro fantasie, dall'altra quella macchina, che si avvicina silente. E come se Gaglianone volesse dirci che le cose funeste entrano nella nostra esperienza in maniera inaspettata e senza alcun preavviso. Da lì in poi nulla sarà più uguale, a cominciare dal presente di quei ragazzini, diventati adulti ma ancora rinchiusi dentro l'antro in cui hanno incontrato il mostro. Anche per loro viene adottato il nuovo registro, con il costante rimando ad una realtà interiore, riprodotta isolandoli in un unico ambiente, un bar, una camera da letto, una sala riunioni, peraltro poco definito e senza nessun collegamento con quello esterno, ma capace di farci capire a che punto è la notte.
Questo non vuol dire che segni del cinema precedente (l'importanza della memoria - alla base de "I nostri anni", il film che ha rilevato Gaglianone - l'attenzione per un umanità in via di formazione, e poi la predilezione per una marginalità sociale prima ancora che esistenziale) siano scomparsi, ma vengono aggiornati seguendo un estetica più vicina al cinema romanzo che a quello documentaristico. Detto questo "Ruggine" lascia però la sensazione di un opera a cui manca qualcosa per essere un film importante, forse perché la rappresentazione del passato è troppo levigata, costruita, anche nei dialoghi, talvolta così strutturati da stonare tra le labbra di un bambino, ed anche manierati, specialmente per il capo della combriccola, un marmocchio che si comporta come un piccolo Al Capone. Oppure perché certe sottolineature di regia - rallentì, dissolvenze, sfocature- sono applicate in maniera poco personale, ed un po' da manuale. Tutte cose che tolgono qualcosa in termini di spontaneità e naturalezza. La presenza di attori di fama (anche questa una novità) e di bravura, ad interpretare la versione adulta dei piccoli protagonisti, così come quella del malefico individuo, rappresentano comunque un motivo in più per assicurarsi la visione.
cast:
Filippo Timi, Valeria Solarino, Valerio Mastandrea, Stefano Accorsi
regia:
Daniele Gaglianone
titolo originale:
Ruggine
distribuzione:
Fandango
durata:
100'
produzione:
Fandango, Rai Cinema
sceneggiatura:
Daniele Gaglianone, Giaime Alonge, Alessandro Scippa
fotografia:
Gherardo Gossi
scenografie:
Marta Maffucci
montaggio:
Enrico Giovannone
costumi:
Lina Fucà, Francesca Tessari
musiche:
Vasco Brondi e Le Luci della Centrale Elettrica