Io so. Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969 [...] Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi. Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l'arbitrarietà, la follia e il mistero¹
Pier Paolo Pasolini
Sono trascorsi 43 anni da quello sciagurato pomeriggio di dicembre a Milano: 43 anni senza che la giustizia abbia sancito in modo definitivo alcun responsabile sulla strage di Piazza Fontana. Ma come insegnano le parole di Pasolini, il regista milanese Marco Tullio Giordana sa che "la verità esiste" (così recita la tag-line sulla locandina del film) ed è una verità che sa di sentenza, quella che la giustizia italiana non è stata in grado di affrontare (nessuna condanna definitiva, assoluzione di ogni accusato, una decina di processi rimasti senza un colpevole). Di chi quei fatti li ha vissuti sulla propria pelle, di chi pensa sia ora di smetterla di "insabbiare i propri escrementi come fanno i gatti" perché a volte non servono né prove né indizi ma solo il buon senso di farsi guidare dalla Storia.
La pellicola avvia dalle primissime immagini un meticoloso processo di ricostruzione, di approccio alla strage, segnalando così la prima fase dell'"autunno caldo" con le manifestazioni studentesche e dei lavoratori che scendono in strada, i primi scontri con le forze dell’ordine e la morte del giovane poliziotto Annarumma avvenuta quasi un mese prima della strage. Attraverso la conoscenza dei molti personaggi che ruotano e influenzano quegli anni si giunge al giorno della strage di Piazza Fontana, ricostruita con una freddezza che lascia sbalorditi, anche grazie all’ausilio di una fotografia priva di luce. Giordana tralascia poco o nulla di ciò che accadde nei giorni successivi al triste avvenimento, rievoca con piglio deciso e a tratti documentaristico il caso Pinelli (si segnala a tal proposito anche il lungometraggio di Elio Petri e Nelo Risi, "Documenti su Giuseppe Pinelli"), le dinamiche che interessano Valpreda e il suo sosia Sottosanti, le incongruenze del tassista. Parallelamente alla pista degli estremisti anarchici segue le tracce dei neofascisti veneti nelle figure di Freda e Ventura, ma soprattutto scava tra i legami che hanno tenuto saldo il connubio tra Stato e terrorismo. Proprio successivamente alla strage di Milano del '69 nascerà quella che verrà denominata "strategia della tensione" con interi nuclei/reparti istituzionali (il Sid - Servizio Informazioni Difesa e gli Uffici Affari Riservati del Ministero dell’Interno) volti a partecipare attivamente alle rivolte armate che nel corso degli "anni di piombo" causeranno innumerevoli vittime innocenti.
Il terrorismo di Stato è forse la chiave di volta del film di Giordana. "Romanzo di una strage" compie un atto di coraggio proprio perché non si limita a descriverlo (come del resto accade in altre pellicole come in "Romanzo criminale" di Placido) ma ne evidenzia con sofferenza (e a tratti disgusto) le metastasi che hanno fatto vacillare una democrazia (il ruolo salvifico di Moro e le gesta del duo Paolillo/Calabresi che fanno da scudo all’inumana e ignara sottomissione al potere del prefetto D’Amato, l'eroico lavoro svolto dal giornalista Nozza in contrapposizione a quello irresponsabile svolto dall'infiltrato Giannettini, il "serpente" che non lascia tracce).
Il film emette un grido silenzioso e disperato di fronte alle violenze armate delle organizzazioni contrapposte di Ordine Nuovo e Lotta Continua. Eppure il disdegno più grande è forse per quella mancanza di sicurezza che le istituzioni avrebbero dovuto garantire, un tradimento che ha letteralmente posto le basi per una sfiducia incontrollata tra Stato e cittadini, oltre ad ampliare il raggio d'azione delle stragi negli anni successivi. È anche grazie a questo film se oggi la verità può essere a portata di tutti, come sostiene il figlio di Calabresi: "La verità storica c'è, eccome.
Noi oggi, come ha detto il presidente Napolitano, sappiamo chi è stato, e perché. Conosciamo le responsabilità oggettive e morali. Sappiamo che è stata la destra neofascista veneta, conosciamo complicità e depistaggi dei servizi deviati e dell'ufficio Affari riservati, sappiamo che nel Paese esistevano forze favorevoli a una svolta autoritaria. È pericoloso dare l'idea che non si sappia niente"².
Scritto dagli esperti Petraglia e Rulli e liberamente tratto dal libro-soggetto di Paolo Cucchiarelli, "Il segreto di Piazza Fontana", il film si presenta agli occhi dello spettatore proprio come un romanzo (avvolto in una tavolozza di colori scurissima) con tanto di titoli che fanno da sintesi agli avvenimenti accaduti nell'arco di quattro anni e che sicuramente risultano efficaci soprattutto nel rendere chiaro e assimilabile una fase storica piuttosto complessa dal punto di vista esplicativo. E pur non incidendo costantemente a livello emotivo, il regista milanese regala una sequenza da brividi: le immagini di repertorio che ritraggono una Milano inginocchiata dal dolore ai funerali delle 17 vittime, immagini che toccano livelli altissimi, anche grazie all'accompagnamento sonoro della Lacrimosa di Mozart. Non che la pellicola sia esente da sviste e imperfezioni: a tratti si ha infatti la sensazione che si forzi un po' la mano, esagerando con l'attendibilità degli avvenimenti (l'ipotesi delle due valigette, il rapporto eccessivamente marcato tra Pinelli e Calabrese). Qualcuno ha poi rivendicato l'apporto superficiale di determinati fatti, l'omicidio Calabresi in primis (la scelta di non forzare la mano su Lotta Continua e sulla mandante morale Camilla Cederna - scelta tra l'altro condivisibile dato che tali fatti sono legati solo indirettamente alla strage e il film interrompe la sua analisi storica al 1972) ma anche volti importanti non svelati come il politico e fascista Pino Rauti e il giornalista Giorgio Zicari, uno dei primi ad entrare nel Sid per poi essere "esfiltrato" dall'Italia. Parliamo in ogni modo di sottigliezze se rapportate all'encomiabile impegno nella realizzazione di una così difficile riproposizione storicistica.
Giordana fa ritorno al film di denuncia dopo "I cento passi" e trova il modo di raccontare con fredda lucidità uno spaccato della storia italiana dopo il capolavoro de "La meglio gioventù". Ad avvalorare l'eccellente lavoro tecnico e storico contribuisce una carrellata di attori in stato di grazia: dalla toccante interpretazione di Favino (Pinelli) a quella stentorea di Mastandrea (Calabresi), passando per la veste dimessa e compassata di un religioso Moro interpretato da un sorprendente Fabrizio Gifuni. Senza dimenticare una nuova leva di giovani molto promettenti (Fasolo, Marchesi, Scandaletti).
"Romanzo di una strage" è un'opera importante che trova la luce in una situazione odierna altrettanto importante dal punto di vista politico-sociale. È il racconto del sentimento di un tempo rivolto alle generazioni presenti e future, "la spiegazione del Paese che i giovani hanno ereditato dopo un fatto tanto grave", come sostiene lo stesso regista milanese.
Il film è dedicato a tutte le 17 vittime che morirono in quel pomeriggio del 12 dicembre 1969.
¹ Pier Paolo Pasolini, Corriere della Sera, 14 novembre 1974
² Mario Calabresi, Il Messaggero, 25 marzo 2012
cast:
Valerio Mastandrea, Pierfrancesco Favino, Laura Chiatti, Michela Cescon, Fabrizio Gifuni, Giorgio Colangeli, Luigi Lo Cascio, Giorgio Tirabassi, Luca Zingaretti
regia:
MarcoTullio Giordana
titolo originale:
Romanzo di una strage
distribuzione:
01 Distribution
durata:
129'
produzione:
Cattleya, Rai Cinema
sceneggiatura:
Sandro Petraglia, Stefano Rulli
fotografia:
Roberto Forza
scenografie:
Giancarlo Basili
montaggio:
Francesca Calvelli
costumi:
Francesca Livia Sartori
musiche:
Franco Piersanti