"Réparer les vivants" è il titolo del romanzo di Maylis de Kerangal che è stato il caso editoriale francese del 2015. Dalla libreria alla sala cinematografica, il passo è stato breve: il co-produttore David Thion ha subito contattato la regista Katell Quillévéré, classe 1980, con due lungometraggi alle spalle oltre a una serie di corti molto premiati. La trasposizione viene selezionata all'ultima Mostra dell'Arte Cinematografica di Venezia nella sezione Orizzonti, che sotto la direzione di Alberto Barbera ha perso totalmente quella connotazione di sperimentazione linguistica e contaminazione formale che aveva sotto l'egida di Marco Müller.
L'incipit è così ben orchestrato e suggestivo da ingannare le aspettative per un film che si manterrà in un più sobrio terreno realista. Simon, sedicenne che non sarebbe dispiaciuto a Gus Van Sant, esce silenziosamente dalla finestra della camera da letto della sua ragazza; deve incontrarsi con un gruppo di amici per dirigersi al mare e fare surf alle prime luci dell'alba. C'è una certa carica energetica nelle sequenze girate in notturna, in bici, e poi quelle di fronte alle grandi onde del mare che vengono domate su una tavola, grazie a sinuosi e armonici movimenti. Stremati ma felici, i tre amici stanno facendo ritorno verso la città in un furgoncino: due sonnecchiano mentre il guidatore cerca di concentrarsi sulla strada, quando la strada inizia a liquefarsi e a ondeggiare risucchiandoli in un tunnel oceanico. La fotografia virata sulle gradazioni di azzurro e l'ultima immagine sono intuizioni visive che rilasciano una potenza cinematografica che non riesploderà nel corso dell'opera.
Ciò che accade nei primi minuti del film provoca il trauma che attiva il plot principale di "Riparare i viventi": dei tre ragazzi ad avere la peggio è Simon, che entra in coma irreversibile; da qui in poi il tono e lo scenario dell'opera cambiano completamente poiché si svolgerà prevalentemente in interni, equamente distribuiti tra le dimore dei genitori del giovane (separati) e l'ospedale, seguendo l'elaborazione del lutto da una parte e dall'altra la vita dell'equipe medica, che propone alla madre e al padre di Simon - come da protocollo - se desiderano dare il consenso all'espianto degli organi. I tasti che vengono toccati sono delicati e bisogna riconoscere alla Quillévéré di aver scelto la via più asciutta per mettere in scena il vuoto lacerante della morte di un figlio e la rapida e non meno difficile dubbio riguardo alla donazione degli organi. Questa scelta apre a sua volta un'altra linea narrativa che corre parallela alla prima, ossia quella di una donna e madre affetta da una grave malformazione al cuore, con un'unica vera speranza: il trapianto. La seconda parte di "Riparare i viventi" è praticamente un altro film, con altri personaggi, altre caratteristiche e altre questioni sollevate: c'è il rapporto madre-figli, c'è l'omosessualità (la donna ha una ex compagna), c'è la paura della morte. Sul finale le strade dei due binari del racconto, nettamente separati, si intrecciano per mezzo dell'operazione di trapianto del cuore. E non c'è bisogno di approfondire il valore metaforico del perché l'autrice abbia costruito il romanzo di partenza proprio sull'organo che, in un certo senso, sintetizza l'uomo.
Sebbene il primo tempo di "Riparare i viventi" si risolva in un dramma convenzionale senza grandi sussulti, può almeno vantare dei protagonisti delle cui difficoltà si è partecipi e con cui è facile empatizzare, mentre la seconda parte ha la colpa di tranciare di netto le fragili connessioni appena instaurate per illustrare una nuova galleria di personaggi assai più deboli e meno interessanti; o meglio, così carichi e ipercaratterizzati in poco tempo da risultare stucchevoli e poco credibili. Ne viene fuori un'opera priva di una vera identità che sul piano filmico stilizza una serie di figure e di temi attraverso un linguaggio semplice e senza orpelli ma senza vero rigore né, in alternativa, grande fantasia. La tenuta drammaturgica, fondata solo sulla morsa della perdita di una giovane vita, finisce per sfarinarsi nel climax conclusivo che, invece di rappresentare l'apice emotivo, ne esce inesploso e privo di tensione. Lo stile di regia pulito, quasi piatto e paratelevisivo, e il montaggio lineare di primi piani e dialoghi tra piani medi e campi lunghi virano pericolosamente verso l'esposizione dimostrativa quando la messa in scena si focalizza con una certa precisione sulla procedura dell'espianto e sul lavoro dell'equipe, tali da somigliare all'estensione di una pubblicità progresso.
Per quanto riguarda i personaggi, la Quillévéré sembra attratta, in particolare, da Marianne, madre di Simon, (una Emmanuelle Seigner contrita anche dal botulino), l'infermiere Thomas (Tahar Rahim), coordinatore che si occupa delle procedure per l'espianto e Claire (Anne Dorval, una delle muse di Xavier Dolan) ma nessuno dei tre riesce a spiccare, la caratterizzazione appare talvolta posticcia (Rahim che si rilassa ascoltando il canto degli uccellini su internet, sic!) e i personaggi gregari sono tutt'al più dei bozzetti. Sembra quasi che "Riparare i viventi" fosse stato pensato come l'episodio pilota di una serie tv, che ha spesso l'onore e l'onere di mettere il primo mattone per un arco narrativo dal più ampio respiro, introducendo i protagonisti e dando vita al plot principale per catturare il pubblico: ma se tale operazione confluisce in un lungometraggio, l'incarico più che arduo appare esiziale.
27/01/2017