recensione di Nicola Picchi
5.0/10
L'ex detenuto Max Truemont vorrebbe tornare sulla retta via e aprire un ristorante assieme alla sua compagna, Roxanne. La banca rifiuta di concedergli il prestito necessario e allora, insieme ai suoi amici Sydney e Vince, accetta di portare a termine un incarico quantomeno singolare, ovvero il rapimento su commissione del piccolo David Sandborn, rampollo di una ricca famiglia dei dintorni. Arrivato in una baita sperduta tra i boschi del Maine, l'improvvisato quartetto di sequestratori scoprirà che l'antipatico rampollo è dotato di strani poteri.
Davvero qualcuno ha ancora voglia di sorbirsi l'ennesimo horror a base di pargoletti indemoniati? Misteriosamente ripescato dal limbo degli straight-to-dvd, arriva nelle sale italiane questo prodotto paratelevisivo diretto dal carneade Stewart Hendler, già regista del dimenticabile "One" con Jet Li, che nulla toglie e nulla aggiunge a un sottogenere arrivato ormai al capolinea, nonostante recenti tentativi di rivitalizzazione. Almeno "Joshua" si manteneva sul filo dell'ambiguità, cosa che contribuiva a tenere desto l'interesse, mentre "Il respiro del diavolo" decide di essere stantio fin dalle primissime inquadrature, peggiorando man mano che la trama (si fa per dire) si dipana. Il satanico e subdolo piccino, parente strettissimo del Damien della saga de "Il Presagio", si rivela fin dall'inizio ben peggiore dei quattro imbranati, nonché dotato di superiore perfidia, e, complici le sue soprannaturali qualità manipolatorie, non ci mette molto a disfarsi degli sventurati. Il motto sembra essere il consueto "divide et impera", senza contare che il maligno marmocchio ha insospettate qualità di disegnatore, ed affresca una parete con inquietanti scarabocchi in cui si prefigura il fato, naturalmente avverso, che attende i suoi sprovveduti rapitori. Ovviamente quelli sono piuttosto lenti di comprendonio, e neanche l'arrivo di un branco di lupi al comando del frugoletto sarà sufficiente a metterli sull'avviso: si dovrà aspettare il presunto colpo di scena finale perché i sopravvissuti si rendano conto che David è qualcosa di più di un comune bambino di otto anni.
La sceneggiatura di Christopher Borrelli, ex tecnico degli effetti speciali, si trastulla con un subplot del tutto inutile, palesemente inserito per raggiungere il minutaggio previsto, e sfocia poi in un finale di abietto quanto fastidioso moralismo. Hendler, pur con tutti i limiti di budget di un horror indipendente, si sforza di costruire un'atmosfera di tensione e di rendere il clima di paranoia montante che vede i protagonisti l'un contro l'altro armati, ma tanta abnegazione si risolve in ritmo lasco, regia anonima e suspense da tv-movie da seconda serata. Gli attori non aiutano granchè anche se è sempre un piacere rivedere sullo schermo il sottovalutato Michael Rooker ("Henry, pioggia di sangue"), mentre il giovanissimo Blake Woodruff se la cava decentemente nei panni di David, facendo ricorso a tutti i manierismi del caso, certamente inventariati in qualche repertorio alla voce "bambino demoniaco". Altrettanto non si può dire di Josh Holloway ("Lost") e Sarah Wayne Callies ("Prison Break"), che meglio sarebbe stato lasciare confinati nelle rispettive serie televisive. L'unica ragione per non cedere ad un sonno ristoratore è l'ottima fotografia di Dean Cundey, ex collaboratore di Carpenter, che rende al meglio i paesaggi e i boschi innevati del Maine, anche se probabilmente il medesimo risultato si sarebbe raggiunto con un documentario del "National Geographic".
24/01/2009