In una cinematografia recente che con opere come "
Transformers 3" e "
Le avventure di Tintin" sembra ridisegnare le coordinate future (visive e non) del cinema spettacolare, "Real Steel" è, come "
Super 8", un prodotto nostalgico, fuori da ogni moda, che riporta alla mente un classicismo mai sopito nel cinema
mainstream hollywoodiano.
Quindi, più che alla trilogia iconoclasta e digitale di Michael Bay viene da pensare a "Paper Moon", dato che il protagonista è un irresponsabile pieno di debiti a cui tocca prendersi cura di un figlio non voluto (e la citazione da Bogdanovich è palese quando il piccolo Max provoca il padre dicendogli "metà dei soldi è mia!"), e soprattutto a "Rocky" (il mito americano della seconda occasione, la riscossa dei perdenti, ma anche il modo con cui è strutturato il finale, che con il classico di Stallone condivide pure l'esito del match finale). Ispirato, alla lontana, ad un racconto di Richard Matheson ("Acciaio"), già portato in televisione nella serie "Ai confini della realtà", "Real Steel"ribadisce sino alla ridondanza quello che Robert Zemeckis (qui produttore esecutivo) non fa che ripetere da un decennio a questa parte: nell'era digitale l'elemento umano continua ad essere insostituibile.
In un futuro prossimo (il 2020) in cui i combattimenti tra robot hanno preso il posto della boxe tra esseri umani, a trovare riscatto e a dimostrare il proprio valore è un ex pugile fallito (il simpatico e convinto Hugh Jackman) che allena e da lezioni su come boxare al proprio robot, arrivando ad "affiancarlo" sul ring nello scontro conclusivo. L'ascesa del piccolo vecchio robot Atom è anche il riaffermarsi di valori considerati perduti o nulli come la fiducia in sé stessi e l'onore, in uno scenario sportivo, non lontano da quello attuale, popolato da fredde macchine "dopate" e controllate come simulacri virtuali di un videogame. Certo, di retorica ce n'è in abbondanza, c'è qualche minuto in eccesso, il sentimentalismo non è sempre sotto controllo, e l'impressione è che con un altro regista al posto del mestierante Shawn Levy (tra le cose più riuscite il primo episodio di "Una notte al museo") ci saremo trovati davanti ad una pellicola davvero indimenticabile. Però questo kolossal per famiglie convince lo stesso, anche per merito degli sbalorditivi animatroni realizzati a grandezza naturale dai maghi dello Stan Winston Studio (che affiancano quelli digitali animati in
motion capture che combattono sul ring) che legano la pellicola di Levy a quel modernariato artigianale che ha reso speciali e più "umani" tanti classici degli anni Ottanta.
Bella colonna sonora di Danny Elfman, in cui si riconoscono tra l'altro brani di
Beastie Boys, Rival Sons,
Foo Fighters e
Alexi Murdoch.