Ambientato a Latina e girato prevalentemente in interni, "Razzabastarda" è la storia di un amore dimezzato dai condizionamenti del milieu delinquenziale ed ambiguo in cui si muovono Roman, pusher romeno ed analfabeta di origini gitane (da cui il titolo del film) e il figlio Nicu, adolescente prematuramente abbandonato dalla madre e in cerca della propria identità. Nella baraccopoli che costituisce la loro casa e funge da negozio per l'attività di gommista, Roman spaccia droga nella speranza di assicurare a Nicu un'esistenza diversa e migliore, e nel frattempo si occupa di lui soffocandolo con attenzioni incapaci di leggerne il disagio. Nel tentativo di contribuire al sodalizio, e all'insaputa del padre, Nicu si intromette negli affari del genitore con conseguenze imprevedibili e drammatiche.
Girato in un bianco e nero di una consistenza materica che sembra espellere dallo schermo la sporcizia morale e anche fisica di ambienti e personaggi, "Razzabastarda" esplode la sua rabbia in uno stile concitato e ferino che tende ad accumulare sensazioni e stati d'animo in una regia che non molla per un attimo gli attori; e una recitazione di stati d'animo tradotti da un attrito continuo di facce e di corpi che insieme costruiscono la rappresentazione di un mondo tribale e violento, applicato tanto agli immigrati romeni, ripresi in un sottobosco scandito da senso appartenenza - esemplare la scena in discoteca dove si sfiora la rissa fratricida per questioni di purezza di sangue - e desiderio di potere - il personaggio interpretato in maniera sorprendente da Matteo Taranto assomiglia a un padrino in salsa balcanica - che alla componente indigena, tra drogati, malavitosi e poco di buono, cristallizzati in un quadro di generale sopraffazione. Sdoppiato nel duplice ruolo d'attore e di regista, Alessandro Gassman se la cava egregiamente nel primo caso, accompagnato anche dalla bravura degli altri interpreti tra cui si segnala il promettente esordio di Giuseppe Ansaldo, mentre nel secondo dimostra di possedere un senso dello spettacolo che proietta il suo film dalle parti del cinema americano con una regia pragmatica, attenta al ritmo e concentrata su ciò che si vede - su tutti e tutto una fotografia espressionista giocata sulla prevalenza di ombre e chiaroscuri - in un modo che in tempi recenti avevamo già ammirato in "Acab". Meno efficace risulta invece il messaggio sociale, quello legato a una realtà di tipo pasoliniano, e contenuto in un'analisi del tessuto sociale che, in termini di resa testimoniale, rimane sacrificata alle esigenze di fruibilità e di azione. Un difetto che appartiene anche al cuore dell'opera, con il rapporto padre figlio un po' troppo a senso unico nella sua mancanza di sfumature. Ciononostante, il film è ben realizzato e non mancherà di trovare il suo pubblico.
cast:
Alessandro Gassman, Giovanni Anzaldo, Manrico Gammarota, Matteo Taranto, Madalina Ghenea
regia:
Alessandro Gassman
distribuzione:
Moviemax
durata:
95'
produzione:
Acaba Produzioni, Rai Cinema
sceneggiatura:
Alessandro Gassman, Vittorio Moroni
fotografia:
Federico Schlatter
scenografie:
Sonia Peng
montaggio:
Marco Spoletini
costumi:
Mariano Tufano
musiche:
Aldo De Scalzi, Pivio De Scalzi