Ratatouille: piatto tradizionale provenzale a base di verdura stufata, originariamente consumato da contadini poveri, preparato prevalentemente in estate con verdure fresche.
Ricetta culinaria fatta di sapori ed odori che è difficile immaginare più semplici e genuini.
"Ratatouille",
opus n. 8 realizzata in computer grafica dalla Pixar, dice cose semplici e profonde utilizzando, però, mezzi visivi che di semplice hanno ben poco.
La fluidità ottenuta dall'animazione digitale, attraverso i movimenti di Remy in casette di campagna, sotterranei umidi e cucine chic, raggiunge inauditi livelli adoperando determinate tecniche cinematografiche inedite fino a qualche anno fa.
Dietro la maniacale cura del dettaglio c'è un cuore, proprio della famosa casa di produzione, difficilmente riscontrabile su pellicola, non solo di fattura animata.
Temi noti, si dirà, eppure affrontati con nuove chiavi di lettura, attraverso trovate geniali, che appartengano al cinema comico dell'era muta, omaggiato con rispetto ed originalità, o direttamente all'attuale iper-tecnologico mezzo filmico.
Sono pochi i film statunitensi che hanno fornito un quadro personale e credibile di Parigi (ma il discorso potrebbe estendersi alla gran parte delle città europee): guardando "Ratatouille", passando da citazioni colte come quelle dedicate a "Cyrano de Bergerac" (partendo dall'enorme naso di Alfredo Linguini) è impossibile non pensare a "Un americano a Parigi" di Vincente Minnelli. Sebbene i riferimenti alla capitale francese siano concentrati soprattutto nei relativamente piccoli spazi del ristorante, geniale è la carrellata che accompagna il primo impatto di Remy con la grande città, dove fulminee e taglienti annotazioni (la coppia di amanti che passano in un istante dal tentato delitto al bacio passionale) la dicono lunga sul dono della sintesi di cui è capace la Pixar.
Eppure il film non ha paura delle pause, di fermarsi a guardare l'alba che affianca la Torre Eiffel, di mettere in dubbio la bontà del più buono degli umani o di scavare tra documenti in un legame filiale vivissimo anche se mai veramente vissuto in prima persona.
Remy come Gene Kelly, quando corregge la sua prima zuppa: carrelli circolari, il valzer dell'ottimo Michael Giacchino ad accompagnare il movimento leggiadro ed elegantissimo del topolino che sa ergersi ad icona del recente cinema d'animazione.
"Ratatouille" rischia sin dal principio, in un'idea che può dirsi semplice, ma comunque arrischiata e di non facile gestione: il profondo accostamento di un animale come il ratto ad una delle cucine mondiali più raffinate e apprezzate al mondo è folle e poteva avvenire soltanto se retta da dilaganti idee, soprattutto se pensiamo che Remy (così come la sua nutrita compagnia di amici e parenti) è tratteggiato con una tipologia animale meno cartoonesca rispetto ad un Mickey Mouse, Bianca e Bernie, Speedy Gonzales e Jerry (antagonista di Tom): non che sia sinonimo di disegno realistico, ma l'adesione con alcuni movimenti propri di quel regno animale è totale come dimostrano anche i più impercettibili movimenti del pelo dell'irresistibile Remy.
Gli autori, il veterano Brad Bird ("Gli Incredibili") e il debuttante Jan Pinkava, non proponendo con insistenza l'ovvio parallelo tra umani e ratti, riescono ad essere altrettanto infallibili nel delineare la natura umana di una schiera di personaggi, molti dei quali possiedono una psicologia sfaccettata e talvolta imprevedibile: l'oscuro e misterioso passato di alcuni dei membri della cucina del Gusteau's (quest'ultimo, deceduto maestro di cucina, protagonista come saggio fantasmino bonario) e l'ambivalente e severissimo critico culinario Anton Ego, a cui appartiene la scena più alta dell'opera: con un'occhio a Marcel Proust, ed in particolar modo al celeberrimo passaggio della sua "Ricerca del Tempo Perduto" dedicato alla Madeleine, il salto temporale in un vecchio passato, risorto in un'anima ormai impolverata da una casa buia e quasi lugubre, apre in pochi secondi squarci di grande commozione, di Ego come nostra, improvvisamente spettatori più attivi che mai, alla ricerca del proprio struggente ricordo d'infanzia.
17/08/2008