Quella frase a due minuti dall’inizio, "basato su una storia assurda ma vera", sancisce la duplice intenzione di "Rapina a Stoccolma". Fatti accaduti realmente, tanto assurdi da farne fiction. La didascalia può sembrare una preghiera rivolta allo spettatore di cedere emotivamente all’unicità dei fatti nonostante essi siano cronachistica memoria di un evento noto. Spetta a Robert Budreau bilanciare la riproducibilità del “successe davvero” con il punto di vista adottato in fase di regia.
La rapina del 1973 alla Svergies Kredit Bank nella capitale svedese diede i natali alla sindrome di Stoccolma, rapporto di dipendenza psicologica inusuale tra un aggressore e la sua vittima. Budreau ricostruisce i fatti di quell’estate degli anni Settanta basandosi principalmente sulla ricostruzione del The New Yorker[1]. A cambiare sono soltanto i nomi di alcune tra le persone coinvolte.
Lars Nystrom, armato di fucile, granate e utensili dalla dubbia utilità, prende d’assalto una banca e, trattenendo delle persone, fa specifiche richieste alla polizia di Stoccolma. Una donna in ostaggio inizia a provare una forte affezione per il suo carceriere, così come gli altri due prigionieri.
Curioso che gli accadimenti di Stoccolma siano avvenuti l’anno seguente a quelli della Chase Manhattan Bank, immortalati in "Quel pomeriggio di un giorno da cani". Tra il cult di Sydney Lumet e questo intercorre, banalmente, più di un elemento di contatto. Il film del canadese Budreau, tuttavia, privilegia il microcosmo degli interni e l’evoluzione psicologica dei personaggi, adottando il linguaggio della commedia e del dramma. Quasi completamente azzerata è invece la componente sociale e storica, sintetizzata nell’ammonimento di Bianca al primo ministro: "Non è il momento di parlare della società". Il contesto viene sbriciolato con parsimonia in piccoli indizi, come l’avversione del primo ministro svedese alle politiche di Nixon comunicata via radio, o Lars che parla dei suoi amici reduci dal Vietnam. L’interesse primario rimane innescare la storia d’amore.
Le buone intenzioni di inscatolare tutti gli elementi dell’heist movie e del poliziesco, con al centro il dramma, rendono "Rapina a Stoccolma" un bignami da manuale. Cadenzando gli uni di seguito agli altri gli elementi riconoscibili del thriller, il film si concretizza in una serie di tautologie cinematografiche del genere. Manca però la tensione, azzerata perentoriamente dalla grammatica scontata con cui Budreau detta i tempi, linearizzando gli eventi.
L’altra facciata del film si scopre umoristica e intimistica al contempo, avallando siparietti da humor nero accompagnati dalla ridanciana mascherata di Ethan Hawke, macchietta dell’outlaw americano baffi e cappello munito, canzoni di Dylan nella radio, è un malvivente che sogna di correre in auto come Bullit, il poliziotto del film di Peter Yates. Sparigliare le carte della propria identità per Lars significa proteggere la sua persona ma anche desiderare di azzerare per sempre il passato e ricominciare (il desiderio dell’operazione chirurgica al viso). Anche Bianca, in misura maggiore degli altri ostaggi, viene chiamata a ridisegnare il proprio profilo identitario, ritrovandosi poco alla volta amica collaborativa di Lars. Nel rapporto tra i due, Budreau regala i dialoghi migliori del film, cortocircuitando la dimensione familiare di Bianca (di spiccata tenerezza il dialogo sul pasticcio riscaldato).
"Rapina a Stoccolma" sta tutto qui, nei tatticismi tra polizia e criminali, nei siparietti comici e soprattutto nelle dinamiche del dramma. Manca tuttavia un punto di vista privilegiato, nonostante Budreau conduca con metodo fino alla fine un racconto accattivante ma che non riesce né a catturare con dovuta personalità il particolarismo del rapporto della citata sindrome, né a donare valore intrattenente al fatto vero filtrato dalla lente del genere.
[1] Lang Daniel, The Bank Drama, The New Yorker, 1974, consultabile qui
cast:
Ethan Hawke, Noomi Rapace, Mark Strong, Christopher Heyerdahl, Mark Rendall
regia:
Robert Budreau
titolo originale:
Stockholm
distribuzione:
M2 Pictures
durata:
92'
produzione:
Darius Films, Lumanity Productions, JoBro Productions & Film Finance, Chimney Group, Blumhouse Produ
sceneggiatura:
Robert Budreau
fotografia:
Brendan Steacy
scenografie:
Aidan Leroux
montaggio:
Richard Comeau
costumi:
Lea Carlson
musiche:
Steve London