Ramanna (Nawazuddin Siddiqui) ha il desiderio inarrestabile di essere amato. Quando si rende conto del suo narcisismo, si mette alla ricerca e trova il suo doppio: un poliziotto problematico che, finché può, gli resiste.
Thriller psicologico e blockbuster, nello standard hindi, "Raman Raghav 2.0" è ispirato alla figura del serial killer omonimo, attivo a Bombay verso la fine degli anni ’60. L’azione è spostata ai giorni nostri, in una oggi Mumbai ugualmente infernale ma ancor più nettamente divisa tra la baraccopoli operaia e i quartieri residenziali. Una cappa di malmostoso inquinamento sta a mezz’aria, a beneficio di tutti.
La natura ipercinetica del soggetto è resa ancor più evidente dai continui cambi di scena che sono stati dettati, a dire del regista Anurag Kashyap, da un budget rispettabile ma non altissimo.
Così, senza soluzioni di continuità, rimbalziamo dalle case borghesi ai dormitori scalcinati e umidi, dalle officine insalubri ai dedali di viuzze che molto ricordano i suk arabi, teatri di tanti inseguimenti della storia del cinema, molto spesso risolti a favore dell’inseguito che, come sempre, gode della solidarietà dei suoi abitanti.
Dopotutto, questo film di puro intrattenimento e di adrenalina, ma pure di una certa pretesa psico-sociale, pone una domanda molto seria: quanto, e in che modo, siete disposti a lottare per la persona amata? Raghavan (Vicky Kaushal) è il poliziotto che crede di essere sulle tracce di un assassino. La sua caratterizzazione da maschio alfa infatti non gli farebbe mai sospettare del contrario. È giovane, bello, armato e anche abbastanza tossico. È un malandrino destinato a piacere, è destinato a disporre della vita degli altri giacché la sua versa in una condizione di caduta libera. La sua fidanzata, Simmy (la bellissima Sobhita Dhulipala, qui al suo esordio) sembra tenergli testa e probabilmente, alla lunga, sarebbe anche riuscita a sottometterlo, se non si fosse frapposto l’amor fou di Ramanna, inesorabile e lucido tanto quanto Raghavan è un bamboccione offuscato dalle metamfetamine.
La droga performativa, a volte abbinata alla più preziosa cocaina, ammanta e connota gran parte degli aspetti messi in scena: la fotografia è calda ma sporchissima (due, diciamo, qualità delle droghe), con larghe zone d’ombra e elementi casuali di bellezza e di innocenza insostenibili allo sguardo e filtrati dagli spessi occhiali da sole anche di notte. Gli stessi movimenti sono frenetici ma incerti, sia quelli degli attori, poco coscienti del ruolo che gli è stato assegnato, eccetto Ramanna che è il vero regista del film, sia quelli della cinepresa, all’oscuro dello sviluppo delle azioni e perciò molto guardinga, marziale quasi, rigida e sempre pronta a scattare come una molla tesa al massimo. La colonna sonora, molto ben curata da Ram Sampath, è una sorta di concept-album che, ai bpm techno-rave delle discoteche, crea dei riverberi nel quotidiano, nel traffico, al supermercato, tra le incudini e i martelli delle officine o nei litigi dei reality show alla TV, fino a posarsi su note melodiche e strazianti di canzoni tradizionali che hanno per tema l’amore.
E così l’Amore vince, suggerisce il nostro film. Schiacciando persone, cose, patti, regole e convenzioni, riesce nel suo intento che è l’unica sua ragion d’essere, costi quel che costi. A suo modo, una lezione morale in un mondo perfettamente rovesciato.
24/11/2016