Quando si parla di film di genere, che si tratti di horror, di fantascienza, e chiaramente anche di fantastico, etica narrativa ed estetica di un'opera cinematografica hanno la stessa dignità e lo stesso peso specifico. Mai come in pellicole di questo tipo, il motto "l'occhio vuole la sua parte" è assolutamente valido. Facciamo questa premessa per spiegare perché un giudizio critico sull'ultimo parto creativo di Matteo Garrone deve necessariamente comporsi di una valutazione separata per l'uno e l'altro aspetto.
Dunque cominciamo dalle scelte visive che fanno de "Il racconto dei racconti" uno straordinario sogno visionario a occhi aperti. Il regista romano, che sceglie di adattare per il grande schermo tre dei cinquanta estratti dalla raccolta seicentesca "Lo cunto de li cunti" di Giambattista Basile, riesce nell'impresa di fondere con le sue sapienti mani l'immaginario post-moderno del fantasy da nuovo millennio (che può spaziare dalla saga tolkeniana di Peter Jackson fino al fortunatissimo e celebratissimo serial "Il trono di spade", peraltro citato esplicitamente dallo stesso Garrone nelle note di regia) e il gusto artigianale del cinema indipendente italiano, che nei suoi decenni d'oro, a cavallo fra gli anni 60 e i 70, faceva dell'uso di scenografie e costumi l'arma segreta per vincere la propria battaglia verso un'emancipazione rispetto agli stereotipi di hollywoodiana provenienza. Da una parte la fotografia del cronenberghiano Peter Suschitzky, che sostituisce il compianto Marco Onorato, ammanta di contemporaneità queste fiabe fuori tempo, dall'altra la concretezza delle scelte di messa in scena del regista di "Gomorra", che spazia per l'Italia alla ricerca di location suggestive ed evocative e che limita l'uso della computer grafica al minimo, ricercando un gusto quasi dimenticato per la ricostruzione scenica di mostri, creature, animali spaventosi.
Una sfida ambiziosa, quella di Garrone, suggestiva ed emozionante nella sua temerarietà. Questa scelta di coniugare un genere come il fantasy in una declinazione fortemente italiana, capace di non rinunciare allo stupore delle immagini nonostante una forte connotazione "realista" e forse anche "materialista" dell'opera nel suo insieme, è uno degli elementi che destano maggiore entusiasmo. Così come è piacevole e anticonformista la spregiudicatezza linguistica, che farà storcere il naso a molti puristi, ma che in realtà cela una profonda consapevolezza del potere comunicativo della fiaba che, indipendentemente dall'origine, ha per definizione un'aspirazione universale. Ecco allora che l'arcaico napoletano di Basile diventa l'inglese delle star che hanno recitato per Garrone, in una sorta di frenetica attualizzazione di un genere che va dalla narrazione popolare dell'opera originaria a quella dei Fratelli Grimm, che ne trassero ispirazione, fino appunto all'universo cinematografico del cineasta italiano.
Ma "Il racconto dei racconti" è un'opera unitaria, anche se suddivisa in tre episodi completamente indipendenti e scollegati fra loro se si fa eccezione per un paio di sequenze. E per questo motivo ne va anche considerata la potenza espressiva nel suo complesso sul piano più strettamente narrativo. E qui Garrone non riesce a tenere testa alle esigenze del genere e si incarta non poche volte sulla necessità di seguire il filo degli eventi che coinvolgono, appunto, tre storie autonome. È molto faticoso farsi rapire da quel che accade perché il regista sceglie di incastrare e montare a scene alternate le tre storie e per tutta la prima ora c'è una lenta presentazione dei personaggi che raffredda molto il cuore dello spettatore. L'occhio dunque prende il sopravvento e offusca invece le potenzialità di partecipazione emotiva con i protagonisti. Il crescendo c'è, è innegabile. Pian piano tutte e tre le storie entrano nel vivo e assumono contorni più concreti, che oltrepassano i confini esili del fantastico e si fanno tragedia e metafora della parabola umana. E allora si potrà notare la linearità nella selezione dei tre racconti ("La pulce", "La regina", "Le due vecchie"), popolati da uomini di potere divorati dalla brama di possesso, che sia affettivo, materiale o infine sessuale poco importa. Sono monarchi, i tre protagonisti, accecati dalle proprie debolezze, dalle loro stesse abiezioni.
Un legame sottile ma indissolubile lega tutti i protagonisti del Garrone più maturo, dai gangster di "Gomorra" ai napoletani di periferia di "Reality" che vanno fuori di testa per un po' di celebrità, fino appunto a questi sovrani fantastici ma così terribilmente legati alla realtà contemporanea. C'è qualcosa di nuovo, di stimolante e che lascia l'amaro in bocca, però nel quadro umanista che viene fuori dall'affresco poderoso: la generazione dei ragazzi, che siano principi o servi, è piena di speranza e di energia, un segnale di apertura verso un ipotetico mondo futuro meno afflitto da depravazione e viltà. Laddove una madre è disposta persino a uccidere per avere un figlio, un re è talmente preso dall'accudire una pulce gigante da dimenticare la felicità della sua unica erede, un giovane despota è ossessionato dalle conquiste carnali tanto da farsi imbrogliare da due vecchie sorelle avide e disposte a tutto, ci sono però due giovani che danno alla loro amicizia un valore fondante dell'esistenza, c'è una principessa che trova la forza, nel fango e nel buio, di riappropriarsi del destino peduto. Tutto questo avrebbe meritato, forse, maggiore attenzione nel piano generale.
Garrone disegna le sue inquadrature come uno dei suoi pittori preferiti che ne hanno ispirato le cornici sceniche mozzafiato, ha l'ambizione per sfidare i modelli del passato (su tutti Mario Bava) e porsi come una versione popolare e "popolana" del fantasy solitamente messo in scena con aspirazioni da kolossal. Ma in tutta questa bellezza, un po' più di cura dei personaggi in sede di sceneggiatura avrebbe giovato all'efficacia della pellicola. Il regista ha parlato di possibili sequel: ce lo auguriamo, perché potrebbero essere il banco di prova per perfezionare un nuovo percorso artistico che già fa intravedere le enormi potenzialità del suo autore. Vorremmo che le potenzialità deflagrassero in tutta la loro ricchezza.
cast:
Salma Hayek, Vincent Cassel, Toby Jones, Shirley Henderson, Hayley Carmichael
regia:
Matteo Garrone
distribuzione:
01 Distribution
durata:
125'
produzione:
Rai Cinema, Archimede, Le Pacte, Recorded Picture Company
sceneggiatura:
Matteo Garrone, Edoardo Albinati, Ugo Chiti, Massimo Gaudioso
fotografia:
Peter Suschitzky
scenografie:
Dimitri Capuani, Alessia Anfuso
montaggio:
Marco Spoletini
costumi:
Massimo Cantini Parrini
musiche:
Alexandre Desplat