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recensione di Rocco Castagnoli
7.0/10
Si è parlato molto di questo ultimo film di Francesca Archibugi: se ne è parlato soprattutto molto bene, da più parti, inneggiando se non al capolavoro comunque ad un film di altissima caratura, degno di stare ai posti più alti delle classifiche di gradimento in questa prima metà (ci siamo quasi) del 2009.
 
Tanto per fare chiarezza: chi scrive ritiene che il film più meritevole della pur bravissima regista romana (una carriera con poche cadute di stile, a parte l'ultimo "Lezioni di volo"; in realtà costellata sempre da dignitosi e mai banali lavori) sia in fin dei conti sempre quello che l'ha lanciata, vent'anni orsono. Si sta parlando di quel "Mignon è partita" che riusciva a mettere in nuce in maniera semplice, diretta, emozionante senza bisogno di retorica e originale senza bisogno di stupire quelli che poi sarebbero stati a grandi linee i temi trattati nella sua filmografia: la famiglia, il rapporto con i figli e l'infanzia in generale, le differenze generazionali. 
 
Con "Questione di cuore" (unica concessione al semplicismo, il titolo un po' banalotto) ci spostiamo invece, seppur leggermente, verso una contrapposizione sociale: potremmo definirla fra "borghesia" e "borgata", vale a dire fra due mondi diversi ma a loro modo simili, e che al giorno d'oggi comunque appaiono sempre più ibridi e indefiniti, minati come tutti gli altri da precariato, difficoltà economiche, fortune alterne. Emblematici in questo senso i due protagonisti: uno, Alberto, sceneggiatore "importante" arrivato dal Nord a Roma e ancora per niente integrato nei caotici meccanismi di vita della capitale (esilarante la sua battuta sul "caffè al vetro" nel momento in cui, infartuato, si reca da solo al Pronto Soccorso), sembra più capace di costruire (e indovinare) vite altrui che di dedicarsi alla propria. Ha una ragazza più giovane che lo ama ma che egli sfacciatamente trascura; il suo lavoro lo ingabbia ma al tempo stesso è tutto quello che ha, pur rappresentando un appoggio fittizio e inconsistente: in ospedale, mentre l'amico Angelo è attorniato dalla "vera" famiglia, lui parla dietro il vetro di protezione con la sua, "finta", cioè composta dalle guest stars Verdone, Sorrentino, Virzì e Luchetti nei loro reali panni di registi, "rappresentanza" (e che rappresentanza!) del suo mondo professionale.  
 
Al suo opposto, per l'appunto, c'è Angelo, giovane padre di una giovanissima famiglia proletaria della Roma più classica possibile, quella del rione pasoliniano di "Accattone", delle carrozzerie, dei bar all'aperto, della vita messa e urlata in piazza. Se Alberto è travolto dalla sua crisi (professionale, esistenziale, sentimentale) e cerca di rispondervi con un'ironia cinica e distaccata, Angelo è riuscito negli anni a ritagliarsi il suo piccolo spazio di mondo in quel semplice quartiere, e vi ha fatto fortuna: ha un lavoro che rende, ha case sparse dovunque (anche al lago), affronta ogni evenienza in modo bonario e con quella sorta di ingenua spontaneità che caratterizza chi non ha mai puntato (anche culturalmente) troppo in alto ma si è sempre accontentato di ciò che aveva (come una famiglia, per esempio: dove lo amano tutti tantissimo). Il loro rapporto quindi va a costruirsi ovviamente per chiasmi, compensazioni: la più palese, quel problema cardiaco che ad uno servirà solo come campanello d'allarme e all'altro fungerà invece da tremenda e dolorosa spada di Damocle.
 
Dicevamo della Archibugi. Ecco, qua forse notiamo per la prima volta una certa ricercatezza e cura dell'aspetto formale (la fotografia, le immagini dei flashback: comunque il minimo indispensabile, la regia resta sempre quasi invisibile) che va magari a discapito di una solidità narrativa della storia in sé e per sé, e non rende purtroppo "Questione di cuore" quel capolavoro altrove dichiarato.
Per esempio, funziona molto bene la prima parte del film, dove Angelo e Alberto fanno conoscenza dei rispettivi mondi d'appartenenza e instaurano fra loro un'amicizia forte, intensa, sincera; un po' meno la seconda, dove la figura di Angelo si defila per "cedere il posto" (lo si intuisce facilmente) ad Alberto nel suo nucleo familiare. Va a finire perciò che si nota più del dovuto il cambio di registro (dalla risata alla lacrima) del film, cosa nella quale la Archibugi si dimostra di solito sapiente equilibratrice.
 
Ad ogni modo, vanno registrate (e come fare altrimenti) le ottime prestazioni di Kim Rossi Stuart (una garanzia) nei panni del carrozziere simpatico e un po' coatto e di Antonio Albanese in quelli dello scrittore nevrotico e ansioso (pure lui ormai definitivamente sdoganato come attore a 360 gradi, si veda per esempio in "Giorni e nuvole" di Soldini). Ma non ci sono solo i protagonisti: c'è la Micaela Ramazzotti di "Tutta la vita davanti" magari troppo enfatica nel suo dramma ma comunque credibile, c'è Paolo Villaggio in una gustosa parte minore, ci sono poi Andrea Calligari e Nelsi Xhemalaj, vale a dire i due adolescenti figli di Angelo, che ci ricordano come la regista romana abbia un'innata predisposizione talentuosa a lavorare con le espressioni dei ragazzini e a renderle così incredibilmente vere.

19/04/2009

Cast e credits

cast:
Antonio Albanese, Kim Rossi Stuart, Micaela Ramazzotti, Francesca Inaudi, Chiara Noschese, Nelsi Xhemalaj, Paolo Villaggio, Andrea Calligari


regia:
Francesca Archibugi


distribuzione:
01 Distribution


durata:
104'


produzione:
Cattleya


sceneggiatura:
Umberto Contarello, Francesca Archibugi, Guido Iuculiano


fotografia:
Fabio Zamarion


scenografie:
Alessandro Vannucci


montaggio:
Patrizio Marone


costumi:
Alessandro Lai


musiche:
Battista Lena


Trama
Alberto, sceneggiatore famoso in piena crisi esistenziale, e Angelo, giovane restauratore di macchine d'epoca, hanno un attacco cardiaco la stessa notte, e assieme vengono ricoverati in ospedale. Giocoforza si conoscono e fanno amicizia: una volta usciti dal ricovero, e in attesa di riabilitarsi completamente, nascerà fra loro un legame tanto forte quanto solidale che permetterà ad entrambi di capirsi e cambiare
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