In "The city of your final destination" si sente il profumo di casa.
Nella tenuta di
Ocho Rios, in Uruguay, vive la famiglia Gund, ovvero gli esecutori testamentari di uno scrittore da poco morto suicida: si tratta dell'altera moglie Caroline (una rigida e bravissima Laura Linney); della giovane amante Aden (la Gainsbourg sempre convincente), che dieci anni prima gli dette una figlia; del fratello Adam, che convive ormai da venticinque anni con Pete (interpretato dal giapponese Hiroyuki Sanada).
Omar Razaghi, un dottorando in letteratura che ha intenzione di scrivere una biografia su Jules Gund, si vede negare il permesso da parte dei suoi eredi, e l'intraprendente fidanzata lo spinge a partire per l'Uruguay, per cercare di convincere la "Fondazione" che preserva la memoria dello scrittore della bontà del progetto. Catapultandosi nel microcosmo in cui il leggendario personaggio ha vissuto ed è morto, Omar diventa l'ospite della famiglia; e ancor prima che ospite, è un'attrazione, una ventata di novità dal mondo "là fuori", venuto a cambiare i ritmi e le dinamiche sclerotizzate di questo atipico nucleo.
James Ivory li osserva sornione senza emettere giudizi, nonostante sottintenda le sottili perversioni della normalità: Aden è diventata sodale (soggiocata?) della matrona Caroline, Pete è assuefatto alla sua vita con Adam, iniziata quando il thailandese aveva solo quattordici anni - infatti Adam dovette adottarlo per portarlo via con sé. In Uruguay questa parte di Vecchio Mondo si è preservata intatta, mummificata, portando avanti una vita altrove estinta; il regista americano li descrive come se contemplasse con nostalgia un ritratto di famiglia: sono la rappresentazione in scala di una società scomparsa, di atteggiamenti fuori dal tempo.
Com'è intuibile, la biografia che deve scrivere Omar funge da pretesto, e col passare dei minuti è sempre più solo un espediente narrativo per far confrontare i personaggi protagonisti.
Il centro del film appartiene però veramente alla sfera biografica, la cui questione non investe tanto il defunto genio quanto la sua famiglia: ciascuno con la sua storia, le sue ambizioni frustrate, le sue passioni, tutti quanti pronti a raccontare prima se stessi, da dove, tra le righe ci sono scampoli di Jules Gund. La visita di Omar è la rivisitazione della memoria dei Gund, in cui naturalmente si rispecchia o si vorrebbe rispecchiare Ivory stesso: non casualmente Adam propone di proiettare un filmino di famiglia, che è in realtà girato dal regista nel 1957 (dovrebbe essere l'esordio "Venice: theme and variations"), e ne improvvisa poi il commento musicale al pianoforte (Hopkins non era così in forma da anni). Il giovane si lascia ammaliare da quest'ambiente, in cui proliferano dialoghi taglienti e le battute snob non si contano ("Mi rifiuto di sottomettermi ad una cosa stupida come la democrazia" dichiara Anthony Hopkins), dal
dandysmo disincantato di Adam, dalla giovane e dolce Aden di cui ben presto si scopre innamorato (
love story scontata, vero punto debole del film), persino dalla durezza di Caroline, che nasconde la propria infelicità. E della biografia, infine, si disintesserà anche lui. A "Ocho Rios" lo studioso trova la sua destinazione, l'approdo perfetto che lo emancipa e gli permette di ricostruire (o inventarsi) le radici che ha perduto.
Dopo il ritorno di Polanski con "
The ghost writer", un altro "vecchio" autore si dimostra vivo e vegeto. Ma nel cinema di oggi esiste uno spazio per i film di James Ivory? Da troppo tempo il regista americano viene stroncato sempre con le stesse critiche e con la stessa facilità, come se si fosse decisa anzitempo la sua morte. Anche "The city of your final destination" è passato inosservato dopo la presentazione in anteprima alla quarta edizione del Festival di Roma e viene distribuito solo ora. Da una parte è vero che la classe dell'autore di "Quel che resta del giorno" si è appannata, dall'altra, soprattutto riferendoci all'opera presente non mancano i motivi di interesse: forse proprio per il venire subito dopo la morte di Merchant, il compagno di vita e di lavoro, in "Quella sera dorata" emergono, tutti insieme, i crismi della cifra autoriale
ivoryana, in maniera così cristallina e affascinante da non poter soprassedere. Più vicino alla destinazione finale, James Ivory realizza un'opera compendiaria e propedeutica al suo cinema.
08/10/2010