Dopo aver preso parte a tante pellicole leggendarie e, soprattutto ultimamente, ad alcune altre che preferiremmo dimenticare, Dustin Hoffman, settantacinque anni portati benissimo, decide di passare dietro la macchina da presa. Lontano dagli Stati Uniti, Hoffman preferisce ambientare la sua storia di musica, amore e vecchiaia sulle verdi e pittoresche colline del Buckingamshire, dove una natura sempre rigogliosa contrappesa il lento, tranquillo risolversi della vita. Proprio in un angolo particolarmente quieto e boscoso sorge le georgiana Beecham House, una casa di riposo che ospita cantanti e musicisti ormai attempati, lontani dai gloriosi palcoscenici che un tempo avevano calcato. Eppure, nonostante gli acciacchi, gli anziani artisti di Beecham continuano a vivere la propria routine con vivacità e brio, tra deliziose marmellate, lunghe cicalate all'aperto, lente camminate nei boschi e tanta musica. A rompere questo armonioso equilibrio, proprio durante la frenetica preparazione del concerto annuale che impedirà lo smantellamento della struttura, è l'arrivo improvviso di Jean Horton che, a suo tempo, fu straordinaria solista d'opera e moglie infedele.
La regia dell'esordiente Hoffman è modesta, quasi timida e racconta queste piccole, adorabili storie di vitale senilità con una sobrietà più calligrafica che davvero elegante, alternando molti passaggi leziosi e sdolcinati ad alcuni momenti più pregnanti e poetici. Invero, eccezion fatta per le poche sequenze brillanti o emotivamente intense, il film resta visivamente ancorato a manierismi standardizzati (appartenenti per lo più alla grammatica patinata delle produzioni televisive britanniche, anche per questo migliori di quelle nostrane), utilizzati senza troppa efficacia né convinzione.
La presenza intermittente del regista lascia però campo libero a un gruppo di attori indimenticabili. Maggie Smith, Tom Courtenay, Billy Connolly, Pauline Collins, i componenti dello splendido quartetto del titolo, insieme a Michael Gambon, impegnato nel ruolo macchiettistico ma assai divertente del direttore artistico brontolone e incontentabile, grazie a delle interpretazioni mai sopra le righe sono capaci di restituire, anche solo con uno sguardo o in un breve primo piano, l'autentico messaggio di un'opera che vuole esaltare l'arte come potenza vivificatrice. Sono loro, affiancati da una nutrita schiera di veri artisti d'antan, l'anima vera di "Quartet" che, nonostante qualche scambio di battute piacevolmente frizzante (probabile retaggio dell'omonima piece teatrale di Ronald Harwood da cui è tratto), finisce per dimostrare molti più anni dei suoi protagonisti e si rivela inefficace soprattutto in uno sbrigativo lieto fine necessariamente romantico che rischia troppo spesso di varcare il confine tra schiettezza e ruffianeria, tra semplicità e semplicismo.
In fin dei conti l'Hoffman regista esegue la sua partitura con diligenza, senza commettere sbagli vistosi, eppure questo evidente impegno non basta a irrobustire una voce che resta irrimediabilmente flebile.
cast:
Maggie Smith, Tom Courtenay, Billy Connolly, Pauline Collins, Michael Gambon, Sheridan Smith
regia:
Dustin Hoffman
titolo originale:
Quartet
distribuzione:
Bim
durata:
98'
produzione:
Finola Dwyer, Dustin Hoffman
sceneggiatura:
Ronald Harwood
fotografia:
John de Borman
scenografie:
Andrew McAlpine
montaggio:
Barney Pilling
musiche:
Dario Marianelli