Capita, talvolta, che l'amore per il cinema possa essere scambiato per la capacità di farlo. Equivoco che può avere delle spiacevoli conseguenze anche in particolari congiunture storiche nelle quali la pochezza delle pellicole circolanti può essere uno sprone a misurarsi con la settima arte. Nella fattispecie, "Quando", il secondo lungometraggio di Walter Veltroni, è un tipico esempio di quanto detto, dal momento che è un film la cui velleità risulta inversamente proporzionale all'esito, anche limitandosi a confrontarlo con il precedente c'è "C'è tampo" (2015) e anche col documentario "I bambini sanno" (2019). Ulteriore constatazione è il rammarico che pellicole di qualità di giovani registi, che pure meriterebbero una più capillare e duratura distribuzione, vengano diffuse con insormontabili difficoltà, mentre altre affatto incisive o innovative sul piano della storia del cinema possono tranquillamente vivacchiare tra gli sbadigli degli spettatori.
"Quando" suscita più di una perplessità e sotto diversi punti di vista. Il film presenta innanzitutto una fabula di per sé lineare, che si traduce tuttavia in un intreccio malfermo a causa dei frequenti flashback, sorta di velleitari scimmiottamenti dello stile narrativo del miglior Nanni Moretti, quello di "Palombella rossa". Nel film di Veltroni, Giovanni Piovasco, un giovane studente alle soglie della maturità, accidentalmente colpito da una bandiera nel corso dei funerali di Enrico Berlinguer, cade in coma e, al momento del risveglio avvenuto trent'anni dopo, si ritrova in un paese profondamente mutato. Si tratta di una trama che di per sé potrebbe pure offrire spunti per una nutrita serie di riflessioni, a patto però che il testo filmico li presenti in modo non banale, meno prevedibile e, in generale, meno sciatto. I flashback appaiono spesso gratuiti perché troppo scopertamente frutto della proiezione del regista più che del protagonista. Per sciatteria si intende una performance attoriale poco convinta, in cui non emerge una caratterizzazione che permetta ai singoli di ritagliarsi una personalità. Si segnala addirittura un errore di dizione del medico ospedaliero (Antonino Bruschetta) nella prima parte del film. Gli ammiccamenti della suora che assiste il protagonista nella terapia riabilitativa mal si conciliano con il tono generale dell'opera e Leo, il ragazzo anche lui sottoposto a un periodo di recupero, risulta assolutamente diafano e inconsistente. Le uniche figure appena più sbozzate sono quelle di Flavia, a suo tempo fidanzata di Giovanni e che nel frattempo si è rifatta una vita, e del marito.
La facile ironia con la quale le novità e le comodità degli anni duemila vengono contrapposte alla vita degli anni 80 si traduce in una oppositiva elencazione binaria, come euro/lira, alzacristalli elettrici/a manovella, menù del ristorante orale/scritto, Russia/Unione Sovietica, senza che nessuna divenga oggetto di approfondimento dialettico. Anche i grandi avvenimenti del trentennio trascorso vengono ridotti a mera teoria di immagini che sanno di carosello. Così, quella che era probabilmente una delle occasioni più ghiotte per ravvivare una trama anemica di sostanza, non tanto sul piano dell'azione quanto su quello della caratterizzazione e della polarizzazione dialogica, viene scartata facendo virare il film sul binario unico dell'idillio tra il malato e l'infermiera. Senza addentrarci nei dettagli della conclusione, che lasciamo allo spettatore, va sottolineato che all'atteggiamento nostalgico del protagonista, palesatosi nella prima parte del film tramite la visita ai propri luoghi dell'anima, non ultimo la location de "Non ci resta che piangere" di Massimo Toisi e Roberto Benigni, sottentra una seconda parte dalla trama ondivaga.
Non c'è molto altro da dire su un'opera nella quale messinscena, fotografia e montaggio sembrano togliere più che aggiungere qualità, visto che nelle inquadrature l'attenzione dello spettatore viene sempre concentrata su una sola cosa per volta e che l'illuminazione cambia solo in occasione dei flashback.
cast:
Antonino Bruschetta, Fabrizio Ciavoni, Dharma Mangia Woods, Olivia Corsini, Gianmarco Tognazzi, Valeria Solarino, Neri Marcoré
regia:
Walter Veltroni
distribuzione:
Vision Distribution
durata:
108'
produzione:
Lumière & Co., Vision Distribution, Sky, Regione Lazio
sceneggiatura:
Walter Veltroni, Simone Lenzi, Doriana Leondeff
fotografia:
Davide Manca
scenografie:
Luca Servino
montaggio:
Mirko Platania
costumi:
Francesca Leondeff
musiche:
Fabrizio Mancinelli