Già in apertura, la giocosa alternanza di ondeggianti close-up e disegni animati immerge lo spettatore nel fervido immaginario di una mente infantile. È lo sguardo di Jonah, il più giovane di tre fratelli che vivono con la madre operaia e il padre violento in un lussureggiante sobborgo della Pennsylvania rurale. Gli scenari edenici, contemplati in ariosi movimenti di macchina, rievocano le sorgenti perdute dell’innocenza, prima che il fiele della consapevolezza, dono amaro della pubertà, giunga a inquinarle irrimediabilmente.
L’opera prima (narrativa) di Jeremiah Zagar, tratta dall’omonimo romanzo autobiografico di Justin Torres, è un lirico coming-of-age paragonato a "Moonlight" e "Un sogno chiamato Florida" per il tocco soave con cui affronta i temi dell’identità, della scoperta della sessualità, del degrado urbano e familiare. In realtà, rispetto al film di Baker l’intenzione è meno analitica e più marcatamente inclusiva, a cominciare dal titolo. La stessa regia ispira un coinvolgimento osmotico con i personaggi tramite una camera ad altezza di bambino, perennemente contigua, financo invadente, sorretta a mano, e che dalle mani dei personaggi si lascia addirittura toccare, sballottare.
Il formato 16mm, ostinato feticcio del cinema verité e malizioso espediente della docufiction, viene qui usato dal direttore della fotografia Zak Mulligan con lo scopo di indurre un senso di intimità e calore tipico delle pellicole amatoriali. Analoga funzione ricopre la colonna sonora di Nick Zammuto, artista il cui stile singolare è valso l’etichetta (da lui non troppo gradita) di aleatoric music, e che volendo potrebbe descriversi come l’editing digitale di tracce acustiche da strumenti folk in chiave elettronica ambient. Tuttavia, l’ensemble delle note tecniche non funzionerebbe senza il viso angelico di Evan Rosado e la sua voce narrante, denominatore prospettico delle emozioni, gli eventi, le fantasie e i dolori che si susseguono sullo schermo. Ritmo onirico, quadro pastorale e lirismo espressivo, unite a una sana crudità della rappresentazione, richiamano le atmosfere del Malick migliore (quello bucolico e steinbeckiano, non quello metafisico e paleontologico).
Però, esageruma nen.
Il racconto di Zagar, intriso di un realismo magico che non lesina momenti di scabrosa rudezza, tratta la conquista difficile della propria identità in un alveo familiare fluido e mutevole come il fiume in cui il giovane protagonista apprende faticosamente a nuotare. Dopotutto, non è il primo Jonah che ha problemi con l’acqua – ma come il suo omonimo antenato si fa profeta di una voce disattesa e ignorata, che poi è la voce stessa del racconto. Un esordio a tratti lezioso, ma curato nei dettagli ed espressivo di uno stile originale. Da tenere d’occhio.
cast:
Evan Rosado, Raul Castillo, Sheila Vand, Isaiah Kristian, Josiah Gabriel
regia:
Jeremiah Zagar
titolo originale:
We the Animals
distribuzione:
I Wonder Pictures
durata:
93'
produzione:
Cinereach, Public Record
sceneggiatura:
Jeremiah Zagar, Dan Kitrosser
fotografia:
Zak Mulligan
scenografie:
Katie Hickman
montaggio:
Keiko Deguchi, Brian A. Kates, Jeremiah Zagar
musiche:
Nick Zammuto