Tamar, sedici anni, capelli a zero, chitarra a tracolla e cane al guinzaglio, è una ragazzina bella, brava e talentuosa. Sa suonare bene il suo strumento ed ha in più una voce incantevole. Tuttavia il suo futuro non è quello roseo delle popstar in erba: vive a Gerusalemme, senza una casa né una famiglia, è costretta a mendicare per mangiare e fa compagnia ai barboni sotto i ponti. Ciò nonostante, qualcosa la rende diversa anche da loro: è in cerca di qualcuno, e segue così fedelmente questa missione da finire invischiata in un giro di sfruttamento, droga e malavita.
E poi c'è Assaf: il volto pulito, la faccia da bravo ragazzo e un cane trovato quasi per caso. Sfidando il consiglio del genero si lascia trasportare anch'egli nella difficile e rischiosa missione di riconsegnare l'animale al suo legittimo padrone, cioè nient'altri che Tamar stessa, per salvarla e salvarsi. Si incroceranno? Si incontreranno? Si riuniranno?
Non c'è che dire, il romanzo di Grossman da cui questo film di Oded Davidoff prende il via garantiva già di per sé sufficiente materiale per una inevitabile trasposizione cinematografica. Un filo narrativo avvincente, una trama ben studiata, per non parlare poi del potenziale emotivo su cui la storia si basa e del conseguente punto di vista sociale che ne deriva: buttare l'occhio sulla Gerusalemme di oggi, descritta né più né meno come una delle tante città dimenticate da Dio i cui figli vivono fra la miseria, l'accattonaggio, il sostentamento precario unito al rischio e alla paura quotidiana di finire dalla strada ad un posto peggiore.
Nessun futuro, nessuna speranza, dunque? Non proprio: i due protagonisti (giovani, intensi e convincenti senza dubbio gli attori scelti) sono uniti, oltre che dal topos della fuga, anche da quello della ricerca. Poco importa che uno cerchi l'altra e questa non lo sappia: il loro correre costante, continuo, instancabile, da una parte all'altra della città, contro tutti e tutto, sfidando più volte la vita anche solo per niente, è più che mai simbolo di una generazione che non si arrende, che nonostante il marcio e il degrado che li circonda trova comunque la forza di inseguire una speranza, per quanto flebile o utopica possa essere.
Il film comunica questo messaggio in maniera netta nonostante una regia più dedita forse a mostrarsi affannata, isterica, compulsiva (come se per "creare l'azione" basti agitare nervosamente la macchina da presa) che a concentrarsi sui primi piani degli adolescenti protagonisti, (fortissimi) o sulle sequenze delle canzoni cantate chitarra e voce da Tamar (le migliori in assoluto), i cui testi non a caso parlano di abbandono, di solitudine, spaesamento ma anche voglia di rialzarsi, ripartire, crescere.
Dispiace solo per il finale un po' affrettato (perché ogni buona favola che si rispetti deve avere alla fine i suoi cattivi puniti e i suoi innamorati felici), e per un doppiaggio onestamente inspiegabile (e purtroppo dove sta la novità?), ma "Qualcuno con cui correre" rimane comunque un film da vedere.
30/11/2008