Atto I: Un lunghissimo prologo
“Se ci toccherà fare questo, lo porteremo fino in fondo.”
Imaishi Hiroyuki
Se si volesse presentare brevemente “Promare” l’unico modo efficace sarebbe la visione dei suoi primi minuti: dopo una breve introduzione, che con uno stile realistico dai colori scuri vuole ricostruire, a mo’ di frammenti documentari di un passato pre-apocalittico, gli eventi catastrofici che seguirono l’affermazione dei mutanti Burnish e l’incendio che essi portarono sulla Terra, si sviluppa, sotto le martellanti note dell’electro-pop orchestrale di Sawano Hiroyuki, l’esibizione della città-vetrina Promepolis, utopia ordinata e geometrica, che in un colpo solo si fa anche esibizione dell’art design della pellicola e delle potenzialità tecniche dell’animazione digitale ma anche dello stereotipo estetico di quest’ultima, producente realtà mirabolanti ma continuamente statiche, contenitori freddi e omogenei, come solo le utopie possono appunto essere. E poi dal nulla divampa il fuoco e la musica e lo stile visivo cambiano (di nuovo) optando per il dinamismo più smaccato, in un profluvio di piani-sequenza digitali che accompagnano l’entrata in azione dei protagonisti e il loro scontro con i terroristi Mad Burnish, mentre fiamme multicolori, geometriche e solide riempiono lo schermo, in un profluvio di animazioni lagganti e art (e character) design sublime.
Il film in questione è nominalmente un esordio ma chiunque conosca la serialità anime fuori da territori più platealmente mainstream sa bene che Imaishi Hiroyuki è in realtà un veterano dell’animazione nipponica, con almeno cinque lustri di carriera, iniziati come key animator di alcuni episodi di “Neon Genesis Evangelion” presso il leggendario studio Gainax e proseguiti con la realizzazione di due delle principali serie shōnen del ventunesimo secolo, “Tengen Toppa Gurren Lagann” e “Kill la Kill”. Tutta la schiera di contributori che si è unita al nuovo studio del regista (Trigger) nel lasso di tempo fra le due opere, si è riversata ora nella realizzazione di “Promare”, facendo di questo ipercinetico e metanarrativo film d’azione la quintessenza di tutta la produzione precedente, nonché di un’intera tipologia di anime che quella ha indubbiamente influenzato. Racchiudere, tramite citazioni, allusioni e riprese di ogni forma ed evidenza, interi universi e generi è sempre stato un tratto caratteristico dell’animazione giapponese e, al netto della repulsione che l’esibita tamarraggine e stupidità dei personaggi e delle situazioni del film può causare, “Promare” fa ciò con indubbia padronanza, controllando la monumentale catena di eventi che è la sua trama in 111 minuti, senza mai fornire anche solo un minuscolo appiglio alla noia.
Atto II: There will be fire
“Il fuoco verrà e giudicherà tutte le cose.”
Eraclito, “Sulla natura”
Uno stilema tipico delle opere di Imaishi, probabilmente ispirato al frequente ricorso da parte del maestro Anno Hideaki, è l’esasperazione del fuoricampo, sostituendo ad esempio la visualizzazione del dialogo di due personaggi con il ricordo di un evento in comune o con movimenti micro-macro che passano dalla piccolezza di un dettaglio alla monumentalità di un panorama (o una scintilla che conduce a una grandiosa reazione), producendo una moltiplicazione del piano discorsivo, perseguita anche riempiendo lo schermo di vari elementi simultanei ma slegati oppure appartenenti a “gradi di diegeticità” differenti (si pensi alle varie intrusioni che spiegano meccanismi, eventi e scelte). Così la fruizione stessa viene resa continua e instancabile, mentre il ritmo della narrazione non esita neanche durante il momento introspettivo e potenzialmente romantico dell’incontro di due protagonisti in un lago isolato, facendo dell’immagine del lancio, dello sparo, della propulsione, il vero simbolo del film. Come già avveniva in “Gurren Lagann” la continua enfasi cinetica diviene non solo un tratto estetico della pellicola, ma anche la sua raison d’être e il nucleo del suo elemento discorsivo, un elogio del movimento che non accetta rallentamenti e può qui essere ben rappresentato dall’immagine del fuoco, oggetto contraddittorio, geometrico e fluido, cangiante e immutabile, il quale è per questo necessariamente vivente (e difatti tale viene reso nella finzione della pellicola) e umano, rappresentando anche la stratificazione di significati su cui l’immaginario di “Promare” si fonda.
La festa di colori che quasi ogni sequenza della pellicola presenta non è difatti un mero formalismo, né tantomeno il tentativo di porre il film in un contesto di verosimiglianza, che “Promare” anzi evita programmaticamente fin dal succitato prologo, ma la creazione di un’ulteriore layer interpretativo della molteplice prospettiva del film. Così si anticipa già la contrapposizione con il totalitario idealismo utopico/distopico del vero antagonista, il cui mondo ordinato e geometrico si distingue per i non-colori nero e bianco, laddove tutti gli altri personaggi principali offrono una palette ricchissima, compreso il nero vestito rivale Lio Fotia, androgino stereotipo bishōnen che omaggia un classico del manga per ragazze (!) come “Tonde Saitama” di Mineo Maya. La quantità di dettagli dei protagonisti che si contrappone agli sfondi affascinanti ma spesso fin troppo statici e spogli si rivela così più di un escamotage per minimizzare la limitatezza dei mezzi dello studio, in quanto strumento per separare gli elementi rilevanti del racconto dalla fittizia realtà in cui l’azione si muove per la maggior parte del film. Ciò ripropone ed esaspera la programmatica trasformazione che lo studio Trigger fa delle proprie manchevolezze in tratti distintivi, come l’animazione poco fluida di “Kill la Kill” divenuta uno strumento per estendere il dinamismo a ogni elemento del profilmico (dai movimenti di camera alle linee cinetiche usate come arma).
Atto III: Are we going to have to be the parents?
“No greater love than to lay my life down for a friend/
No sweeter pleasure than to see the credits clear through to the end”
The Mountain Goats, “Rain in Soho”
Tutto questo parlare di stratificazioni e deterritorializzazioni (mi si passi il riferimento) di cliché e pratiche abituali dell’animazione industriale non fa che introdurre uno dei più abusati topoi degli anime contemporanei, ovvero lo svelamento della vera identità dell’antagonista, qui bianco vestito, magnifico e munifico come già avveniva nella serie succitata, dando il via a una sequela di colpi di scena tanto meccanici quanto efficaci nel rendere consistenti e ben ritmati gli sviluppi successivi, mentre il mondo dei protagonisti cade (più o meno letteralmente) a pezzi. Come in molte narrazioni del genere contemporanee la propositività stereotipica dei protagonisti, esemplificata al massimo da Galo Thymos (modellato su Kamina di “Gurren Lagann”, eroe incrollabile e proprio per questo destinato nell’economia della serie a una rapidissima, e all’epoca shockante, dipartita), non è più diretta al superamento di un obiettivo come avveniva nella maggior parte dello shōnen classico quanto alla ridefinizione della proprio identità e di quella del mondo circostante, mentre sempre più spesso i canonici mentori si rivelano vili manipolatori o perlomeno figure discutibili vanamente idealizzate. Centrale in questa produzione zeppa di riferimenti ma quasi sempre priva di modelli ben definiti è il discredito verso il principio di autorità e la sostituzione di un ideale assoluto cui consacrarsi con una prospettiva che sia confacente al proprio punto di vista ma permetta in primo luogo di destreggiarsi in una realtà in costante mutamento, facendo spesso venir meno la consueta connotazione morale di ruoli e azioni (si legga/veda l’ottimo “Vinland Saga” di Yukimura Makoto).
Questo sospetto verso i modelli sistematici preesistenti si può dire venga rappresentato al meglio da “Promare”, opera che porta a esasperazione la componente metanarrativa presente in tutte le serie di Imaishi Hiroyuki (per cui la meccanicità è fondamentale, tanto da aver chiamato trigger il proprio studio), fattore che permette di porre in prospettiva gli elementi del mondo rappresentato, non rinunciando però a rimarcarne la contestualità con riferimenti palesi. Così facendo l’universo dello studio Trigger diventa un ecosistema in cui cliché ambulanti possono coesistere con raffinate decostruzioni di stereotipi, narrazioni banali con uno stile visivo originalissimo, il fanservice più esplicito con le caratterizzazioni più complesse e convincenti, una vera e propria enciclopedia della cultura otaku contemporanea, caratterizzata però non dalla passiva devozione all’oggetto di riferimento ma alla sua continua messa in prospettiva, come fanno i suoi eroi senza padri né assoluti. Liberi da vincoli come l’idea di animazione di Imaishi, lontana tanto dal realismo che spesso è stato il golden standard di certe produzioni quanto dalla fedeltà alle convenzioni del genere seguite sempre più aproblematicamente, concepente l’anime come uno strumento per mettere in scena una realtà complessa e indivisa, passante dal micro al macro in un unico flusso, come la scena dell’entrata in campo del mecha di Galo vuole mostrare, fondata su dei riferimenti ma dotata di tratti autonomi (il fuoco che diviene geometrico, le scritte extra-diegetiche che diventano oggetti concreti, la musica che determina il cambio di colore e ritmo delle sequenze, etc…).
Cos’è dunque “Promare”? Un racconto di maturazione, inteso come presa di coscienza di sé e del mondo circostante da cui deriva la propria posizione in esso, che si fa anche percorso di maturazione del suo autore e studio, dalle occasionali ingenuità di “Gurren Lagann” e dagli eccessi di “Panty & Stocking with Garterbelt” all’equilibrio di questi 111 minuti, nonché rappresentazione dell’evoluzione del suo genere e dell’immaginario cui fa riferimento. Ma se si vuole anche un’immagine dell’estensione delle capacità rappresentative dell’animazione oltre i limiti usuali, verso un mondo in cui il fuoco può solidificarsi, il cielo cadere letteralmente a pezzi e un mecha divenire più grande di un pianeta. Si era detto inizialmente che niente può esplicare questo film (come tutte le opere molto teoriche) meglio di sé stesso, no?
cast:
Mario Bombardieri, Taiten Kosunoki, Lucrezia Marricchi, Ami Koshimizu, Andrea Ward, Masato Sakai, Chiara Gioncardi, Ayane Sakura, Alessio Puccio, Taichi Saotome, Kenichi Matsuyama, Maurizio Merluzzo
regia:
Hiroyuki Imaishi
titolo originale:
Puromea
distribuzione:
Dynit, Nexo Digital
durata:
111'
produzione:
Trigger, XFLAG, Sanzigen
sceneggiatura:
Kazuki Nakashima
fotografia:
Shinsuke Ikeda
scenografie:
Tomotaka Kubo (art design)
montaggio:
Junichi Uematsu
costumi:
Shigeto Koyama (character design)
musiche:
Hiroyuki Sawano