I libri sacri sono bestseller; classici tra i classici, ovvero, secondo una delle definizioni di Italo Calvino: roba che nessuno si prende la briga di leggere, prima di citare.
Nei Vangeli ad esempio c'è un versetto che recita: "Guardatevi dai falsi profeti", ignorato dai falsi profeti di qualsiasi ambiente, soprattutto da quelli che svolgono la loro divina attività in quei particolari templi noti come "sale cinematografiche".
Bisogna stare attenti: a parlar male di un'opera che tratta temi elevati (il femminismo, la guerra, l'incontro tra culture, ecc.) si rischia di passare per cinici. Ma non è per cinismo, quanto per necessità interpretativa che, dovendo scrivere di un film intitolato per l'appunto "Profeti", vogliamo partire chiedendoci cosa sia un falso profeta. Tra le tante possibili definizioni, proponiamo questa: un falso profeta è qualcuno che predica senza sapere cosa predicare. Esattamente come quelle pellicole che, volendo in tutti i modi dire qualcosa, finiscono per non dire nulla.
L'ultima fatica di Alessio Cremonini corre in effetti questo rischio. Dopo la triste vicenda del caso Cucchi, il regista romano sceglie di raccontare le disavventure di Sara: giornalista rapita dallo Stato Islamico e costretta a convivere per lunghi mesi con Nur, ragazza cresciuta a Londra e ritornata in Siria a seguito del matrimonio con un mujāhid.
Il racconto della prigionia costringe il film in spazi angusti e claustrofobici, riducendo al minimo i movimenti di macchina e affidando la progressione delle vicende ai dialoghi tra le due protagoniste. Ma il didascalismo che ne risulta e l'assoluta mancanza di spontaneità, rendono del tutto impossibile una qualsiasi immedesimazione dello spettatore, ricatapultandolo nella realtà della sala buia, divenuta nel frattempo sinfonia di sbuffi, sospiri, sbadigli e occhiatine inopportune agli smartphone accesi.
La sceneggiatura si trasforma così in un potpourri di luoghi comuni al cui interno si può trovare pane per tutti i denti: dalle insinuazioni velate-ma-non-troppo contro un Occidente irrimediabilmente colpevole, che faranno accennare un sorriso ai radical-chic seduti nelle sale in ZTL (quelle in cui puoi comprare le rotelle di liquirizia, ma non la Coca-Cola); fino all'esternazione di un femminismo gridato e di maniera; passando per le battute finali della mefistofelica villain che all'improvviso accelera i tempi, scioglie ogni ambiguità e svela le malvagie trame del Califfato; per terminare con la conversione della protagonista, che mostra come la fede (quella vera) vinca anche sulla violenza.
Una conversione, c'è da dire, che non si capisce bene quanto sia autentica e quanto sia opportunistica: il che rende "Profeti" il perfetto film per l'ora di religione, ma anche una storia che a molti ricorderà l'epilogo del "1984" orwelliano.
In linea con i dettami di un cinema politico e anti-hollywoodiano, il regista rinuncia alla forma narrativa dell'immagine-movimento e propende per uno stile più contemplativo, lento, che ricerca (a parer di chi scrive senza trovarla) la potenza espressiva dell'inquadratura. Tuttavia, qualche bell'immagine non basta ad attutire la pesantezza di un'opera segnata dall'immobilità, non soltanto fisica ma anche caratteriale, delle due protagoniste: entrambe figure tutte d'un pezzo che escono dalla scena esattamente come v'erano entrate: l'una convinta della necessità del Jihad, l'altra desiderosa di tornare libera alla propria casa.
Nel mezzo è inserito qualche delicato momento di un'intimità appena accennata, che non sfocia mai in un incontro o in uno scontro; in una metamorfosi o in una ribellione. Eccezion fatta per la non ben chiarita conversione di cui già si è scritto, a metà tra l'epifania mistica e il primo sintomo della sindrome di Stoccolma.
Se, almeno, "Sulla mia pelle" ci regalava l'ottima prova attoriale di Alessandro Borghi, qui ci troviamo di fronte a un film che, nonostante il tentativo di farsi scudo con un tema delicato e inattaccabile, finisce per mostrare il fianco e per subire il colpo. "Profeti" è insomma un albero che non porta molti frutti e, come insegnano le stesse Scritture da cui abbiamo iniziato, sarebbe insensato oltre che ingiusto, ricercare l'uva lì dove crescono le spine.
cast:
Jasmine Trinca, Isabella Nefar, Ziad Bakri, Mehdi Meskar
regia:
Alessio Cremonini
distribuzione:
Lucky Red
durata:
109'
produzione:
Lucky Red, Rai Cinema
sceneggiatura:
Alessio Cremonini, Monica Zapelli
fotografia:
Ramiro Civita
scenografie:
Sabrina Balestra
montaggio:
Marco Spoletini