Girato più che altro in esterni, sugli sfondi di un paesaggio desertico che Annaud riesce a restituire in una magnificenza non alterata, "Il principe del deserto" è una produzione figlia di molti padri e per questo complicata dai tentativi di far quadrare i conti. Prodotto da Tarik Ben Ammar, un mecenate del cinema internazionale ma anche dalla Doha Film Insitute, il film pur privilegiando gli aspetti avventurosi e romanzeschi, concentrati soprattutto nella progressione psicologica e nelle azioni del giovane protagonista, inizialmente sottovalutato per il suo carattere mansueto e per la dedizione agli aspetti intellettuali della vita, e poi costretto, anche per l'uccisione del fratello destinato al trono, a diventare arbitro della storia, non può fare a meno di rimarcare le caratteristiche meticcie della sua natura: da una parte volendo esprimere un punto di vista che vuole essere fortemente interno alla cultura di cui sta parlando e che per questo esclude quasi del tutto la presenza e il peso di ciò che è esterno ad essa - i pionieri venuti dall'America restano figure sulle sfondo e senza alcuna voce in capitolo -, dall'altra evocandolo alla maniera delle produzioni che si rivolgono ad un mercato globale, e che per questo hanno bisogno di una riconoscibilità diretta e popolare. Così, piuttosto che trovare soluzioni autoctone più adatte alla credibilità della storia, il film preferisce affidarsi al glamour poco realista di un cast internazionale che, a parte Tahar Rahim ("Il profeta", 2009) fisiognomicamente adatto alla figura di Auda, prevede tra gli altri Banderas, qui al suo secondo ruolo "orientale" dopo quello da lui interpretato ne "Il 13° guerriero" (1999), e Freida Pinto, ancora una volta nei panni di una donna, la promessa sposa del principe, sottomessa alla volontà maschile. Un'ambiguità che sembra riversarsi anche sulla figura del protagonista, chiamato soprattutto nella parte centrale, quella in cui il desiderio di riscatto verrà messo a dura prova da una spedizione ai limiti della sopravvivenza, a recitare il ruolo dell'eroe ma che poi, alla luce di una storia di fatto indecisa sulla via da seguire (tradizione o modernità), sembra lasciarsi prendere da una mancanza di carattere che nuoce ad un film bisognoso invece di una figura in grado di fargli prendere definitivamente quota. Alla fine la sensazione è quella di un prodotto in cui il committente conta più dell'esecutore: Annaud da parte sua ci mette un mestiere che riesce a fare a meno del computer. Il resto è strategia di marketing.
cast:
Tahar Rahim, Antonio Banderas, Freida Pinto
regia:
Jean- Jacques Annaud
titolo originale:
Black Gold
distribuzione:
Eagle Picture
durata:
130'
produzione:
Doha Film Institute, The, Quinta Communications
sceneggiatura:
Jean-Jacques Annaud, Menno Meyjes
fotografia:
Jean-Marie Dreujou
scenografie:
Fabienne Guillot
montaggio:
Hervé Schneid
musiche:
James Horner
Nell'Arabia degli inizi del novecento due sultani si contendono il diritto sull'eventuale sfruttamento dei giacimenti di petrolio scoperti nella terra che divide i loro regni. Nella guerra che ne consegue sarà il principe Auda a fungere da ago della bilancia sulla sorte dei loro regni