Sulla carta c'erano tutti gli elementi per replicare il successo planetario della serie "Pirati dei Caraibi". Team up tra il produttore Re Mida Jerry Bruckheimer e la Disney, ripescaggio di una saga videoludica che ha fatto la gioia di migliaia di nerd, il tentativo di attualizzare un brand defunto come lo swashbuckler contaminandolo con i ritmi forsennati e gli effetti digitali del deus ex machina di "Armageddon" e "Top Gun" e un tocco di esotismo old style (con i "Pirati" ha funzionato alla grande, quindi perché no?).
La dura realtà invece è che questo "Prince of Persia", diretto dal professionale, ma arido, Mike Newell (irreparabilmente convertito a Hollywood dopo aver portato sullo schermo, con successo, il quarto romanzo della serie "Harry Potter"), pur non risultando particolarmente fastidioso fallisce su ogni fronte. Mancano l'ironia, il ritmo, le sorprese che hanno trasformato "I Pirati dei Caraibi" in una hit al botteghino. Soprattutto manca la verve di Johnny Depp, polo attrattivo e anarcoide della saga di Gore Verbinski. Qui ci sarebbe pure un cast di buon nome, ma conta poco davanti alla piatta e bidimensionale sceneggiatura di Boaz Yakin e Doug Miro (affiancati dal creatore del videogame Jordan Mechner), costantemente indecisa sul tono da prendere. Jake Gyllenhaal è un buon attore ma non ha né il carisma né l'autoironia necessaria per impersonare un protagonista eroico e costantemente infallibile. Sostituito con un qualsiasi energumeno palestrato, la situazione non cambierebbe di molto. Gemma Arterton è spaventosamente bella, Ben Kingsley fa il cattivone e gigioneggia poco convinto, Alfred Molina è l'unico simpatico della squadra ma non ha molto spazio.
La pellicola di Newell per quanto volenterosamente priva di pretese (nonostante alcuni possano trovare analogie, nemmeno così assurde, tra la politica estera Usa di qualche anno fa e l'assalto dei persiani alla città di Alamut alla ricerca di pericolose "armi") si trascina faticosamente di inseguimento in inseguimento sino al catastrofico e tonitruante finale senza mai coinvolgere appieno, trascurando le situazioni (i bisticci da commedia sofisticata tra Dastan e la Principessa Tamina) e le idee (il pugnale in grado di riavvolgere il tempo) potenzialmente più buone a favore di un più classico canovaccio da blockbuster milionario di cui si può prevedere il finale già prima di entrare in sala. Che poi ultimamente si veda ben di peggio (vedi "Scontro tra titani") è fuori discussione, ma se l'intenzione di Bruckheimer era replicare i fasti dei suoi "Pirati", siamo pronti a scommettere che, come accadrà al pubblico in sala, rimarrà deluso.
17/05/2010