Alzi la mano chi, tra i fan del genere, non riesce a ricordare (nell'album dei fotogrammi cinematografici impressi nella nostra mente) uno Schwarzenegger all'apice della sua forma, ricoperto interamente di fango, urlare tutta la sua furia omicida tra le insidie di una giungla popolata da un mostruoso essere soprannaturale...
Era il 1987 quando "Predator" divenne da subito un
cult capace di scatenare nello spettatore non solo l'opportuna e doverosa dose di adrenalina, quanto una profonda riflessione sulle potenzialità del genere umano in rapporto a un "qualcosa" di magnificamente più grande, non vincolabile alle leggi della natura.
Lungo il cammino che porta ai nostri giorni, l'ispirazione al neo-mito ha offerto solamente opere fallimentari o quasi, come un sequel che ha lasciato vaporizzare i suoi contenuti più interessanti e altre due pellicole accomunate dallo scontato traguardo commerciale.
Oggi, a più di vent'anni dalla nascita, prende vita un nuovo capitolo che sembra presentarsi con connotati molto simili al soggetto originale del 1987.
Prodotto dal poliedrico Robert Rodriguez, "Predators" rivive i fasti del primo film senza per questo porre le basi per un semplice
remake. E infatti, sin dai primi (velocissimi) minuti di pellicola, l'ambientazione è sì la stessa del film di McTiernan (la giungla) ma il nuovo soggetto sembra essere del tutto intrinseco a un qualcosa di evoluto. A cominciare dal plurale del titolo: la stirpe di predatori (l'unicità del mostro lascia spazio alla proliferazione e alla molteplicità) accompagnata da creature mostruose sotto il loro controllo, i congegni sempre più futuristici, il pianeta, sconosciuto e situato in chissà quale parte dell'universo. Perfino le prede umane sono in un certo modo "evolute", perché rappresentano ognuna una categoria dei più pericolosi assassini presenti sulla terra (il soldato di guerra, il serial killer, il guerrigliere del commando, il sicario della Yakuza... In un meta-messaggio che sembra voler mettere in mostra la malvagità innata dell'uomo e ponendo le basi per domandarci chi sia alla fine il vero mostro). Tutti insieme appassionatamente, in un
loop continuo di combattimenti e sparatutto che fanno da anticamera all'antica legge darwiniana del più forte.
Dopo una prima parte soporifera ed alcune lacune qua e là (l'incredibile inconsistenza del ruolo di Laurence Fishburne, la dozzinalità dei dialoghi, capaci di tirare in ballo anche il vecchio caro Hemingway!) il diesel guidato dallo statunitense di origini ungheresi Nimrod Antal (al suo quarto lungometraggio) raggiunge un discreto regime, senza però mai raggiungere livelli di pura apprensione.
"Predators" avanza così di minuto in minuto con superficiale inerzia e senza un canovaccio a cui potersi aggrappare. Il problema principale tuttavia risiede nell'incapacità di saper abbattere il muro del
clichè, in un film che non permette mai una via di fuga a causa della sua schematicità (l'eliminazione scontata ad uno ad uno dei personaggi, il sopravvissuto-protagonista, la sequenza finale come solita apripista al prevedibile sequel del sequel) e che si presenta alquanto disossato in quanto ad originalità e fluidità.
Adrien Brody non avrà il potenziale esplosivo di Arnold Schwarzenegger ma rappresenta una delle poche novità positive (lui, tanto indifeso ne "Il pianista" che gli è valso l'Oscar) insieme agli effetti speciali realizzati dal
make-up artist Greg Nicotero (la cura dei mostri e in particolare il miglioramento della visuale termica, nata dal genio di McTiernan nel primo film).
Costruito in fretta e furia (le riprese sono terminate addirittura in questi primi mesi del 2010), questo "Predators" imbottito di fugaci stereotipi, terrà incollato allo schermo solo i più sfegatati sostenitori del genere. Un buco nell'acqua per Rodriguez.
12/07/2010