Il problema della pessima letteratura di cui gode certo cinema italiano è il fatto che, a scriverla, siano per forza di cose i cosiddetti critici di professione, i quali, poco disposti a confrontarsi con le manifestazioni del sentimento popolare finiscono quasi sempre per deprecarne gli esiti. Dunque, un conto, è ridere e allietarsi con lo
humor intelligente e intellettuale di un regista come
Woody Allen, che ha reso la risata una materia da circoli accademici, un altro è invece lasciarsi coinvolgere dalle freddure di coloro che ogni anno erigono monumenti ai tic, alle manie e ai difetti peggiori del popolo italiano. A onor del vero, bisogna dire che di questa differenza se ne accorgono per primi registi e produttori, i quali, un po' per andare incontro allo spirito del tempo, non più votato all'edonismo spensierato degli anni 80/90, un po' perché, con il passare degli anni, la minestra diventa sempre più riscaldata e, quindi, meno commerciale, fatto sta che con qualche eccezione anche gli artefici dei famigerati cinepanettoni si sono dati da fare, diversificando il prodotto a colpi di
restyling e frammentandone sempre di più l'offerta.
Il risultato di questa piccola rivoluzione si può valutare prendendo in considerazione il nuovo film di Fausto Brizzi, realizzato dallo stesso prima che le note disavventure gli togliessero la sacrosanta potestà del suo lavoro.
Sequel del lungometraggio uscito lo scorso Natale, "Poveri ma ricchissimi" denuncia fin dal titolo una delle caratteristiche principali di questo tipo di prodotto che è appunto quello di una serialità a qualunque costo. Il che - vista la qualità delle serie tv - non sarebbe un male, se non fosse che la riproposizione di un contesto già conosciuto - quello della famiglia Tucci e del suo complicato rapporto con la ricchezza - non nasce dalla volontà di approfondire temi e personaggi ma, al contrario, di replicare il copione precedente con minime varianti e all'insegna della massima riconoscibilità.
Come tutto, in "Poveri ma ricchissimi", confluisca nel calderone delle cose trite e ritrite ce lo dice innanzitutto la trama. Brizzi infatti, con espediente tanto esile quanto funzionale alla maschera dei personaggi si inventa che la famiglia Tucci, capitana dal burinissimo Danilo (Christian De Sica platinato alla maniera di Donald Trump) sia chiamata a prendere in mano le sorti di Torresecca, il paesino laziale che dopo essersi reso indipendente dalla madre patria per ragioni fiscali ha bisogno di trovare chi sia disposto ad amministrarlo.
Che ne succedano di tutti i colori, e che il gioco da ragazzi sia destinato a rivelarsi più difficile del previsto era pressoché scontato ma il punto non è questo. "Poveri ma ricchissimi" infatti ricicla l'idea che era stata alla base di commedie come "L'ora legale" e di "
Omicidio all'italiana", facendo di un microcosmo anonimo e provinciale il laboratorio scelto per replicare - opportunamente enfatizzate - le dinamiche esistenti su scala nazionale. A essere presi di mira sono dunque la politica e i suoi adepti, messi in scena dalle maschere caricaturali che di loro ne danno i vari De Sica (presidente del consiglio) e Brignano (adetto alla sicurezza), impegnati a mimare l'opportunismo e soprattutto l'incapacità messe in mostra nella vita reale dai nostri politicanti. Detto che anche "Poveri ma ricchissimi" non manca di sottolineare la tendenza italica al tradimento sessuale, questa volta virato al femminile grazie alla voluttuosità della
first lady Lucia Ocone, rientra nell'elenco dei vari
déjà vu anche quella predisposizione al viaggio che era stato l'espediente narrativo più utilizzato dagli episodi e che qui ritorna in quella vacanza da sé per la quale i protagonisti abbandonano (temporaneamente) la loro attività di ristoratori per rispondere agli incarichi costituzionali a cui vengono chiamati. Improntato a un buonismo senza confine, che giustifica le malefatte dei governanti con la difficoltà dei compiti istituzionali e depurato delle volgarità che un tempo facevano la felicità di grandi e piccini e che ora sembrano passate di moda, "Poveri ma ricchissimi" è un ibrido indeciso tra comicità e commedia, tra la volontà di far ridere e la necessità di rifarsi una reputazione. A pagarne lo scotto - e qui parla il critico a cui piace Allen - è il motivo del suo essere, e cioè, la capacità di tradurre la simpatia in risata.