Nel "Simposio" Platone fa raccontare al commediografo Aristofane un’improbabile storia delle origini dell’umanità: inizialmente sarebbe stata composta da strani esseri divisi in due parti, con la possibilità che fossero femminili o maschili o di ambo i sessi, almeno fino alla loro ribellione contro gli dei, la quale avrebbe condotto Zeus a dividere per punizione quegli esseri in due. Questo atto avrebbe dato agli esseri umani la loro forma attuale e avrebbe determinato gli orientamenti sessuali dei vari individui, omosessuali nel caso delle creature da un solo sesso ed eterosessuali nel caso degli ermafroditi, in ambedue i casi disperatamente cercanti di ricompletare l’unità perduta con l’atto sessuale. Così sarebbe nato il desiderio e, dice l’Aristofane di Platone, l’amore. Anche in "Popran" si parla di completamento dell’identità individuale e di sessualità e amore, per quanto in toni completamente diversi. E, in maniera non così diversa dal mito greco, l’ansia di completamento parte da una mutilazione fisica che, in un certo qual modo, altera la precedente identità sessuale e di genere dell’individuo. Difatti, il protagonista di "Popran", lo spregiudicato creatore di una app di distribuzione di manga di gran successo Tatsuya, un mattino, dopo l’ennesima notte brava basata sul raggiro di una sprovveduta ragazza, si sveglia senza il proprio pene. Anzi, il proprio popran.
Se vi è qualcuno che deve ringraziare il Far East Film Festival per aver contribuito in larghissima parte al successo di un proprio film questi è presumibilmente Ueda Shinichirō, la cui horror comedy metacinematografica "One Cut of the Dead" ha ottenuto grande considerazione, pure in patria, a partire dall’ottima performance nella kermesse udinese del 2018. Il ritorno del cineasta giapponese al FEFF dopo una serie di esperimenti di qualità altalenante rappresenta quindi in maniera piuttosto netta un tentativo di tornare alle vette del suo strepitoso esordio al lungometraggio (tacendo della precedente collaborazione a un film ad episodi) con un'altra commedia surreale, infarcita di personaggi sopra le righe, colpi di scena ed elementi metalinguistici. Nonostante l’inizio di "Popran" si avvicini effettivamente al medesimo tipo di cinema di "One Cut of the Dead", inscenando (dopo un prologo in cui letterali peni volano ad alta velocità nell’azzurro cielo di Tokyo) un’intervista al protagonista che crea un gioco di riflessi fra realtà e finzione, la pellicola presto prende ben altra via, assumendo i toni dell’apologo morale.
Non che le somiglianze fra il celebre esordio di Ueda e il film in analisi si limitino ai punti succitati, condividendo il medesimo assunto di base, ovvero l’uso del registro surreale per creare una serie di studi di situazioni e caratteri che siano espliciti e facilmente riconoscibili grazie al continuo ricorso all’iperbole. Se il gioco metalinguistico su più livelli trasformava "One Cut of the Dead" in una riflessione sul fare cinema e sulle difficoltà che affliggono le persone (soprattutto le meno privilegiate) che popolano quell’industria, in "Popran" è l’incipit degno di un racconto di Daniel Pennac a permettere di scavare nei rapporti del protagonista con il mondo circostante e in definitiva con sé stesso, ora che è anche fisicamente aperto all’occhio giudicante e analitico altrui (rappresentativa al riguardo la scena del controllo all’ingresso del club degli uomini privi di popran), quello della macchina da presa in primis. Il principale limite di questo film rispetto al precursore sta nel limitarsi a seguire il proprio presupposto surreale e derivarne uno sviluppo narrativo, e umano, fortemente lineare, in netto contrasto alla sovrapposizione di livelli narrativi della pellicola del 2017, ognuno connotato da diversi tratti registici ed estetici, laddove in "Popran" tutto è fin troppo omogeneo e piatto, come il pube del protagonista evirato, letterale immagine del perturbante (si vedano le reazioni degli altri personaggi), o come la loffia fotografia del film, degna di una commedia italiana di serie b.
Complessivamente la pellicola di Ueda resta un’opera riuscita, traghettante in maniera piacevole lo spettatore lungo il viaggio a ritroso del protagonista nel proprio passato e nelle proprie malefatte, in una tripartizione narrativa e spaziale che pare un dichiarato omaggio ad "A Christmas Carol", solo che in questo caso tutti i fantasmi sono del passato e (quasi) tutti non vogliono avere niente a che fare con un eterno fedifrago come Tatsuya. Come lui, non è che "Popran" sia imperdonabile per via dei suoi "errori", la questione è semmai che le sue problematiche riguardano soprattutto due tratti centrali del genere di appartenenza come l’umorismo e l’inventività, due elementi di cui non si può certo dire che "One Cut of the Dead" fosse parco, essendo una fucina di invenzioni surreali e demenziali che passavano dal micro al macro, dalla singola battuta alla struttura stessa del film. Invece, il carattere episodico dell’ultimo film da un lato rende più chiaro il percorso del protagonista e la sua maturazione, dall’altro impedisce a molte situazioni comiche di svilupparsi adeguatamente, rendendo le gag efficaci solo in alcune occasioni. Da ciò si potrebbe forse desumere che il focus di Ueda in questo caso non vada cercato nell’articolazione di situazioni comiche ma in una più tradizionale costruzione dei personaggi.
Va infatti dato atto a Minagawa Yoji, interprete di Tatsuya, di essersi caricato sulle spalle il peso dell’intero film, di cui è l’unico personaggio a comparire in tutte le sezioni narrative, rimarcando ulteriormente quanto "Popran" sia soprattutto la storia del suo surreale viaggio verso il riottenimento non solo della propria virilità ma dell’identità nella sua totalità. Si potrebbe perciò arrivare a definire il film di Ueda un coming of age sui generis, un racconto di formazione probabilmente più prevedibile della pellicola del 2017 ma forse anche più sentito. Difatti non si è forse scritto a sufficienza dell’autobiografismo delle opere del regista nipponico, prima narrante le vicissitudini del fare cinema dal fondo della scala sociale da cineasta ultra-indipendente e che ora racconta le difficoltà di venire a patti con ciò che si è fatto dopo essere arrivati al successo un po’ per caso, arrivando a dubitare degli elementi più fondamentali della propria identità (come un organo sessuale, ad esempio). Forse Ueda Shinichirō con il suo film vuole in primis dirci, e dirsi, di essere l’ambizioso ed empatico sognatore che Tatsuya diviene/torna ad essere nel finale. "Popran" è quasi certamente un film meno riuscito di "One Cut of the Dead" ma autoriflessività e autobiografismo sono qui a dirci che Ueda è nonostante tutto sempre lo stesso. E allora noi non possiamo sperare che presto riesca a tornare a Udine (come detto pure da lui nel messaggio di presentazione del film) con un’altra geniale commedia.
cast:
Yoji Minagawa, Hidenobu Abera, Eri Tokunaga, Harumi Shuhama, Yuka Iseki
regia:
Shinichirō Ueda
titolo originale:
Popuran
durata:
96'
produzione:
Kokuta Masahito, Inaba Momo
sceneggiatura:
Shinichirō Ueda
fotografia:
Takeshi Sone
scenografie:
Juntaro Fukuoka, Masato Nunobe
montaggio:
Shinichirō Ueda
musiche:
Nobuhiro Suzuki, Lee Ayur