Lo studio system ha una fiducia cieca in Paul W.S. Anderson. Da anni, a fronte di budget consistenti ma non stellari, i suoi film garantiscono ai produttori un ritorno come minimo doppio alla spesa in sede di botteghino. Il suo nome sui titoli di testa, negli uffici che contano, è sinonimo di professionalità e affidabilità. Il discorso è invece radicalmente diverso se si ragiona in termini di fortuna critica. L'inglese da questo punto di vista non gode certo di grande stima. E, ripercorrendone la filmografia, è in effetti difficile pensarla diversamente. Ma Anderson in fondo non ha mai provato a spacciarsi per qualcosa di diverso da quello che è: un artigiano che offre al pubblico prodotti allegramente innocui, spesso pure divertenti a patto di scollegare per due orette il cervello. "Pompei" non fa eccezione, anche se questa volta l'investimento è più cospicuo del solito - si parla di più di 100 milioni di dollari - e il risultato al box office leggermente più incerto. Staremo a vedere.
La trama, un canovaccio senza la minima pretesa di originalità, ruota attorno la storia d'amore fra Milo (K. Harington), un giovane gladiatore celta, e la bella figlia di un grosso faccendiere pompeiano (E. Browning). I due innamorati hanno un nemico in comune, il crudele senatore Corvo (K. Sutherland), che aveva precedentemente raso al suolo il villaggio del primo e mira a sposare, nonostante ripetuti rifiuti, la seconda. I nodi verranno al pettine nella famigerata giornata dell'eruzione del Vesuvio (79 d.C.), quando i destini dei contendenti collimerano con quelli di un'intera città. Inutile dire che i rimandi al "Gladiatore" sfiorano più volte il plagio deliberato, o che in generale ogni singola sequenza sa di già visto: l'intento del film sembra proprio quello di mettere a proprio agio lo spettatore con una storia manifestamente prevedibile - e d'altronde non è la prevedibilità che diventa fatalismo la cifra di ogni catastrofico che si rispetti? -, puntando tutto sulla spigliatezza del ritmo e sul divertimento dell'azione. E in questo senso "Pompei" ha una sua efficacia e una sua coerenza.
Anderson azzecca un tono leggero da avventura per ragazzi e sa spingere i tasti giusti al momento giusto - la cupezza violenta della prima parte, il romanticismo quasi magniloquente del finale. Meritoriamente prova, in parte riuscendoci, a subordinare gli effetti speciali al gusto di raccontare una storia, per quanto risaputa. Lascia da parte ogni pretesa di verosimiglianza storica e non è minimamente interessato ad offrire un resoconto accurato dell'evento sconvolgente che ha ispirato il copione. Ambientazione e contesto non hanno la minima importanza. La sensazione a visione terminata è, così, duplice: se da un lato la pellicola svolge bene la sua funzione di intrattenimento fine a sé stesso, dall'altro lascia l'impressione di aver assistito a qualcosa di più adatto al mercato dell'home video che ad una sala cinematografica, nonostante il budget "fuori quota". Non aiutano le scelte del casting, pressoché tutte sbagliate a cominciare dall'imbelle protagonista - Harington, idolo delle teenager dopo la partecipazione a "Game of Thrones".
Proviamo brevemente a riassumere: "Pompei" è il tipico esempio di film che funziona finché dura. Non ha pretese né slanci, ma è tutto sommato onesto con sé stesso e con chi lo guarda. Vi farà divertire e poi lo scorderete. Diciamolo, ogni tanto abbiamo bisogno anche di questo.
21/02/2014