Già compagna e musa di Luc Besson (interpretava la cantante aliena del "Quinto Elemento" e si dice che fosse ispirato a lei il personaggio di Natalie Portman in "Leon"), Maïwenn Le Besco (sorella di Isid) si sta imponendo come una delle registe più interessanti del cinema d'oltralpe. Dopo l'apprezzato esordio con "Pardonnez-moi" e la riflessione sul mestiere d'attrice contenuta in "Le Bal des actrices", per il suo terzo lungometraggio Maïwenn si misura con uno dei generi più amati in Francia, il polar.
Premiato a Cannes, grande successo nelle sale e ora nominato a 13 Cesar (dove se la dovrà vedere, fra gli altri, con "
The Artist"), "Polisse" (il titolo, volutamente storpiato, omaggia l'istituzione ma soprattutto il film di Pialat del 1985) non è un film di genere in senso stretto, quanto piuttosto una variazione autoriale, poiché Maïwenn utilizza a proprio piacimento situazioni e regole.
Personalità emotiva (vedere per credere il suo discorso di ringraziamento in Croisette lo scorso maggio), la regista, che ama raccontare storie parzialmente autobiografiche ricorrendo a uno stile semi-documentaristico, più che realizzare un poliziesco tradizionale (in "Polisse" ci sono pochissimi inseguimenti o sparatorie e quelli che ci sono non fanno propriamente la differenza), ha voluto descrivere la vita all'interno della Bpm (Brigades de la Protection de Mineurs), corpo di polizia che si occupa di crimini contro i minori, della cui esistenza l'autrice era venuta a conoscenza grazie a un documentario.
Dopo avere passato diversi mesi a contatto coi membri della brigata, Maïwenn ha trasferito la sua esperienza nel film, del quale (come dei suoi precedenti) oltre che regista e co-sceneggiatrice (insieme a Emmanuelle Bercot, che nel film recita in un ruolo secondario), è anche interprete, nei panni di Melissa, una ragazza dell'alta borghesia, madre di due bambine, nate dalla relazione con un giovanotto italiano, col quale è in crisi. Il vivere a contatto coi poliziotti, conoscere le loro vite, i loro problemi, le loro speranze, avrà un effetto molto positivo su Melissa, che deciderà di rimettere in discussione la propria esistenza, cambiandola in meglio.
"Polisse", però, non è solo la storia di Melissa, ma è anche quella di Fred, Iris, Mathieu, Nadine, Chrys, Baloo, Gabriel. Uomini e donne quotidianamente alle prese con storie tragiche di bambini o comunque giovanissimi. Il film è indubbiamente efficace nel comunicare come le violenze sui minori siano una piaga che accomuna soggetti appartenenti a culture e a ceti sociali diversi; inoltre fa capire come l'ignoranza e l'incoscienza siano spesso complici fondamentali delle violenze. Oltre che ai casi che gli agenti seguono, tanta attenzione viene dedicata alle loro vite, alle loro vicende familiari e alle dinamiche di gruppo. Quando non indagano, li vediamo litigare, scherzare, divertirsi (andando a ballare insieme o organizzando pizzate), fidanzarsi, separarsi, chiedere il divorzio. Persone normali con un lavoro che di normale ha ben poco e che vivono sulla pelle il disagio di portare a termine un compito necessario e difficile senza garanzie di soddisfazioni, anzi (vedasi il finale amaro).
Come per ogni film corale che si rispetti, la riuscita di "Polisse" dipende molto dal valoroso cast che Maïwenn è riuscita a mettere insieme, con tutti perfettamente calati nei rispettivi ruoli; dalla sempre impeccabile Karin Viard alla trepida Marina Fois (ricorda molto Debra Winger), passando per Jérémie Elkaïm (co-protagonista di un altro apprezzato film francese di questa stagione, "La guerre est declarée" di Valerie Donzelli), Nicholas Duvauchelle e Karole Rocher (entrambi dalla serie tv "Braquo"), la quasi inedita Naidra Ayadi e il bravissimo Frédéric Pierrot, che film dopo film si va affermando come uno dei migliori interpreti francesi sulla piazza. In una salutare trasferta straniera, troviamo anche il nostro Riccardo Scamarcio, mentre il film è curiosamente dedicato al rapper Didier Morville, in arte Joey Starr, qui nei panni di Fred, l'agente duro (ma piacione) di cui Melissa finisce, dopo qualche immancabile (in fondo è un film, no?) scorno iniziale, per innamorarsi.
Frutto di compromessi che hanno portato a sacrificare gran parte del girato (come si capisce anche dalle comparsate rapidissime di gente come Anthony Delon o Lou Doillon), "Polisse" è stato accusato di spettacolarizzare un argomento molto drammatico. In verità, la regista tratta la materia con sensibilità, riuscendo a mettere il prodotto al di sopra delle molte
fiction televisive dedicate a simili tematiche. Forse alcuni momenti possono essere meno riusciti di altri e forse il ricorso allo
humour può talvolta sembrare fuori luogo, ma va riconosciuto al film di riuscire a essere sottilmente ingannevole (le domande che il padre Scamarcio fa alle figlie all'inizio, quasi a ribadire che il male si può manifestare ovunque), ambiguamente amaro (il padre Joey Starr che mentre fa il bagno alla figlioletta si rifiuta di lavarle le parti intime, triste deformazione professionale) e genuinamente tragico (il climax col bambino molestato che si preoccupa del destino del suo molestatore, le cui attenzioni erano state scambiate per un gesto d'affetto).
I bambini ci guardano, sì, ma sfortunatamente non sempre ci capiscono.
Per saperne di più:
Il dolore del quotidiano - Speciale Polisse