Musicista quarantenne in fuga dal palcoscenico e dalla vita, Antoine si trascina da un lavoretto all'altro, schiavo di droghe, insonnia e depressione. Assunto come custode in un antico e un po' cadente palazzo parigino, vi trova rifugio, dividendosi tra la terra secca dei vasi nel giardino interno e le stanze anguste della portineria. Alle richieste spesso assurde dei condomini, vittime anch'essi di frustrazioni e piccole nevrosi, rimedia come può, mugugnando bonariamente. Il goffo Antoine lega soprattutto con Stéphane che, oltre ad accumulare biciclette nel cortile, gli fornisce qualche dose di stupefacenti e con la signora Mathilde che l'uomo assiste e asseconda nella sua ossessione: una crepa che le si è aperta sulla parete del salotto. La donna, nonostante le rassicurazioni del marito e dei tecnici comunali, non riesce a dissuadersi che quello spacco preluda a un imminente crollo dell'intero quartiere.
Pierre Salvadori, abile realizzatore di racconti dei sentimenti collocati sul confine ambiguo tra il comico e il tragico, sceglie questa volta il microcosmo condominiale come centro propulsore della pellicola. Nella fattispecie - come indica il titolo originale, "Dans la Cour" - il cortile, luogo chiuso, protetto e perimetrato su cui si "affacciano", intrecciandosi, numerosi percorsi esistenziali. Un fondale col quale è facile stabilire un immediato rapporto di familiarità e che ben si addice ai brevi incontri e alle divertenti schermaglie che, nella prima fase, cadenzano il ritmo narrativo. La levità della mano che disegna tic, idiosincrasie e stranezze caratteriali dei tanti personaggi che si presentano al nuovo portinaio e al pubblico - siano essi più o meno caricaturizzati o centrali nell'economia della storia - fa quasi pensare al taglio brillante della commedia classica, se non proprio all'immediatezza rappresentazionale del cartone animato. Le criticità sorgono, però, nel momento in cui il regista si dedica ad approfondire i trascorsi del protagonista e i motivi della sua complicità con Stéphane, col quale condivide un grosso bagaglio di delusioni e fallimenti, e con la fragile e stralunata Mathilde, che tenta di proteggere, comprendendone le tendenze fobiche e il crescente senso di inadeguatezza. In tal modo, il progredire della narrazione si fa sempre più aspro, trova nel drammatico il timbro espressivo prevalente, e lascia sbiadire in secondo piano pochi elementi davvero ironici, nel tentativo di riallacciarsi all'iniziale partitura grottesca e tragicomica. Pur conservando uno sguardo sinceramente affettuoso, il regista non riesce a irrobustire la parabola distruttiva del protagonista, concludendola senza particolare originalità né decisione e sfumandola in un vago pietismo. Oltretutto, manca una cifra espressiva organica e riconoscibile che rinvigorisca anche solo sul piano formale l'impatto dell'opera.
Nulla invece si può obiettare all'ottimo corpo d'interpreti, dominato dalla toccante sobrietà di Catherine Deneuve, che incarna con grazia e trasporto una donna "comune" matura e vulnerabile, e da Gustave Kervern, orso corpulento e impacciato che invade lo schermo con la sua straordinaria fisicità. Un talento, quest'ultimo, anche dietro la macchina da presa. Non è improbabile che, se affidato a lui e al sodale Benoît Delépine, "Dans la Cour" avrebbe conquistato l'estro e l'incisività che meritava.
21/10/2014