Ondacinema

recensione di Matteo Zucchi
6.0/10

Phantom


Leggendo la sinossi di "Phantom" si potrebbe rischiare di interpretare il nuovo film dell'aficionado del Far East Film Festival Lee Hae-young come una sorta di "Dieci piccoli indiani" nella Corea durante l'occupazione giapponese, quando in realtà questa è solo una delle numerose identità di questo fastoso dramma in costume, il quale inizia come uno spy movie dalle marcate componenti action che getta gli spettatori in mezzo a un vorticare di eventi, personaggi e non detti, quasi senza offrire una direzione narrativa. Al nervoso inizio segue quella che probabilmente è la migliore sezione della pellicola, l'investigazione che omaggia il whodunit classico, circoscrivendo la ricerca del misterioso agente segreto anti-nipponico "Fantasma" a cinque co-protagonisti di diversa estrazione sociale e carattere, all'interno di un sontuoso hotel su un promontorio, la cui estetica farloccamente classicista e fastosa ne fa la sineddoche del film stesso. Ovviamente anche l'indagine dello spietato ufficiale giapponese Takahara si rivela un macguffin, in quanto per gli spettatori è semplice capire l'identità del "fantasma" fin da subito, facendo sì che l'approfondimento dei personaggi principali diventi il focus di questa parte della lunga pellicola.

"Phantom" si può dire perciò che compia un doppio inganno nei confronti del suo pubblico, prima presentandosi come una sorta di "Cinque piccoli coreani" e poi rendendo la ricerca del colpevole futile. Il focus passa piuttosto su come farà il "fantasma" a non farsi scoprire, mentre i rapporti fra i cinque prigionieri, la facoltosa funzionaria del ministero delle comunicazioni Park Cha-kyung, il crittografo gattaro Cheon, il giovane impiegato Baek-ho, la segretaria del vice-governatore Yuriko e il decaduto ufficiale di polizia nippo-coreano Murayama, si fanno sempre più centrali, passando da conversazioni a cuore aperto a esplosivi combattimenti, mantenendo il ritmo di questa sezione centrale della pellicola in maniera impeccabile. Il mestiere di Lee Hae-young non è difatti in questione e anzi "Phantom" mostra la sua versatilità nel gestire numerosi registri e generi dato che, come ormai quasi prevedibile nel cinema pop sudcoreano, il film arriva presto a un'ulteriore torsione narrativa e si trasforma nuovamente in uno spy movie pieno d'azione e finemente coreografato, facendo conflagrare il whodunit in letterali esplosioni, alla faccia dell'ostentato classicismo dell'estetica e dell'ispirazione ad Agatha Christie.

È proprio questa evoluzione narrativa, cui seguirà nell'ultima parte della pellicola il passaggio definitivo nel regno dell'action più muscolare, a mettere progressivamente alla luce le numerose criticità del quinto film di Lee Hae-young. Le complessità mostrate nella scrittura e interpretazione dei personaggi lasciano presto il posto a rappresentazioni fortemente stereotipate e manichee, probabilmente più adatte a un film d'azione ricco di coreografie spettacolari che al whodunit che effettivamente non è mai stato. L'evoluzione del nippo-coreano Murayama è al riguardo esemplificativa, passando rapidamente da un tormentato ex-privilegiato ora ai margini della società e disperatamente disposto a riscattarsi a costo di ogni persecuzione a un sadico e razzista esecutore della dispotica autorità giapponese, come già il suo avversario Takahara, a sua volta una caricatura degna dei peggiori nazisti cinematografici. Difatti, nonostante le continue citazioni al cinema classico e al noir, evidenti soprattutto nell'uso espressionistico della luce e nella regia mobile e barocca, il principale modello occidentale di "Phantom" è il film sulla seconda guerra mondiale, uno dei pochi contesti cinematografici e narrativi in cui il manicheismo ideologico e le caratterizzazioni superficiali possono ancora trovare posto senza ricorrere al grottesco (tipico di moltissimo cinema coreano, anche il più mainstream, ma qua non così stranamente assente quasi del tutto).

A eccezione di alcuni siparietti comici affidati alla collaborazionista Yuriko e al comic relief Cheon, il film di Lee è infatti mortalmente serio, rigido e stentoreo quanto l'espressione dell'interprete di Murayama, il grande Sol Kyung-gu. Proprio questa mancanza di umorismo rende la parte finale della pellicola, quella francamente action e palesemente devota a modelli hollywoodiani come "Salvate il soldato Ryan" e, ancor più, "Bastardi senza gloria", un inverosimile e ridondante sequenza di scenografici combattimenti in cui la plot armor dei protagonisti, e soprattutto delle protagoniste, è così spessa da essere quasi visibile. Similmente al capolavoro di Quentin Tarantino, ma senza la medesima cognizione di causa, "Phantom" dimostra di non voler essere un whodunit ambientato durante l'occupazione giapponese della Corea ma nemmeno uno spy movie di contesto bellico, quanto piuttosto un fantasy che ambisce a riscrivere la Storia per farne una rappresentazione di catartica ribellione. E allora assumono senso i cattivissimi giapponesi, razzisti come solo i nazisti cinematografici potrebbero essere e altrettanto stilosi in quelle sempre impeccabili divise (non disegnate da Hugo Boss in questo caso, però) e lo assumono anche le talentuosissime e invincibili eroine action degne di John Wick e che possono appunto esistere solo in un contesto di fiction (ovviamente la coreografata rivolta e l'uccisione del Governatore generale al centro del film non sono mai avvenuti nella Corea occupata).

Un'altra fondamentale ispirazione di "Phantom" che ora può essere messa in prospettiva è la narrativa pop cinese di ambientazione bellica, d'altronde il contesto da cui deriva il romanzo da cui il film è tratto, in cui la rappresentazione manichea del nemico e l'esaltazione nazionalistica sono le principali costanti in attesa che il sol dell'avvenire inizi a brillare sulle sorti dei suoi protagonisti nella forma della fiamma della guerra e della ribellione. Il film di Lee Hae-young si limita a trasferire questa prospettiva, così come la trama del film, al contesto coreano, senza adattarla in alcun modo, tanto che alla fine in questo film di coreano vi sono solo gli interpreti (anche quelli che hanno ruoli giapponesi) e una certa cura maniacale per i dettagli, in primo luogo per i colori, che è uno dei principali tratti distintivi del cinema in costume della Corea del Sud. Infatti va riconosciuto a questo punto che il film è un gran bel vedere e che lo spettacolo vale probabilmente il prezzo del biglietto grazie anche alla sapientemente manierista regia di Lee e alla qualità dei contributi artistici. Quello che va compreso d'altro canto è che sotto la sua bella veste probabilmente non vi è molto, solo il fantasma di un bel film.


25/04/2023

Cast e credits

cast:
Sol Kyung-gu, Lee Ha-nee, Park So-dam, Park Hae-soo, Seo Hyun-woo, Esom , Kim Dong-hee


regia:
Lee Hae-young


titolo originale:
Yuryeong


distribuzione:
Lucky Red


durata:
133'


produzione:
The Lamp


sceneggiatura:
Lee Hae-young


fotografia:
Ju Sung-lim


scenografie:
Kim Bo-mook


montaggio:
Yang Jin-mo


musiche:
Dal Palan


Trama
Corea, 1933. Dopo la scoperta dell'esistenza di un complotto per assassinare il Governatore generale giapponese il capo della polizia Takahara fa portare in un isolato hotel di lusso cinque persone probabilmente implicate nella cospirazione con l'intento di interrogarle. La situazione evolverà rapidamente in modalità imprevedibile, mentre il movimento per l'indipendenza della Corea prende sempre più forza.