“I miei film sono spesso nostalgici di una bellezza perduta.
Sono nato nel ’76 e ricordo un mondo diverso e una società diversa.
Si dice che il futuro sia davanti a noi. Non è vero, è alle nostre spalle,
perché non riusciamo a riconoscere quel futuro e quindi ci è ignoto,
andiamo con lo sguardo rivolto al passato” (1)
Pietro Marcello
Pietro Marcello racconta per sommi capi la carriera di Lucio Dalla e, nel contempo, la storia italiana dal miracolo economico agli anni 80, passando dai treni carichi di immigrati dal Mezzogiorno, attraversando le rivolte operaie, la contestazione studentesca, gli anni di piombo e concludendo con la strage della stazione di Bologna. Si tratta dunque di due filoni narrativi che si intersecano: la storia privata del cantante e quella collettiva di un intera nazione. In entrambi i casi non si tratta di racconti forti, ma di un collage di frammenti, di impressioni e di attimi che vengono suggeriti ed evocati facendo ricorso all’alternanza fra un’enorme ed eterogenea mole di filmati d’archivio, tratti dai repertori più diversi, e i ricordi di due personaggi chiave della vita del cantante: il manager Umberto Righi detto Tobia e l’amico d’infanzia Stefano Bonaga. Il primo dei due viene presentato all’inizio del film mentre porta dei fiori sulla tomba del cantante, venendo in seguito utilizzato come talking head, ovvero affidando lo sviluppo della narrazione alle sue parole, intervistato mentre parla con inquadrature che lo ritraggono in primo piano. Successivamente gli viene affiancato Stefano Bonaga: i due vengono ripresi mentre conversano amabilmente durante un pranzo presso un ristorante bolognese, conferendo al tutto un aria di intimismo e familiarità.
Le interviste che ritraggono unicamente il manager riguardano aspetti più concreti e documentati della vita e della carriera del cantautore: si parla dei primi ingaggi e del poeta Roberto Roversi, il cui incontro fu molto importante per Dalla relativamente alla composizione dei testi. La seconda parte, invece, ambientata durante il pasto al ristorante, lascia spazio a note maggiormente intimistiche, come aneddoti e impressioni fuggevoli derivati da una conoscenza di Lucio lunga decenni, così da lasciare trasparire il lato maggiormente umano e privato del cantautore, oltre che completamente scevro dal mito di icona pop.
Il racconto e le riflessioni dei due testimoni sono alternati a materiali d’archivio di Lucio Dalla, come concerti, ospitate televisive e interviste: soprattutto queste ultime svolgono un ruolo particolarmente importante e a cui è dedicato molto tempo, in modo da far diventare lo stesso musicista il terzo vero testimone del film, oltre che il suo protagonista e soggetto.
Le immagini di repertorio, riguardanti tanto la carriera di Dalla quanto la storia italiana dal Secondo dopoguerra, derivano da una sconfinata ricerca fra numerosissimi archivi pubblici e repertori privati e amatoriali. Fra i tanti, si segnalano i materiali d’archivio della Fondazione Cineteca di Bologna, Istituto Luce Cinecittà, Home Movies – Archivio Nazionale del Film di Famiglia, Accas Film, Archivio Audiovisivo del movimento operaio e democratico, Fondazione CSC – Archivio Nazionale Cinema d’Impresa (Ivrea), Centro Sperimentale di Cinematografia, Ansaldo e Cineteca di Bologna. Pietro Marcello monta queste immagini fortemente eterogenee e derivanti dalle fonti più disparate, creando un magma visuale di incredibile bellezza. Si tratta di un poema visivo che forma il contrappunto filmico delle canzoni di Dalla, montato secondo varie direttrici: in senso narrativo, ad esempio durante le parti dedicate alla descrizione visuale della storia italiana recente; per associazioni, come quando più immagini si susseguono collegate dalla presenza dello stesso elemento iconografico (ad esempio, i minuti dedicati all’arrivo degli immigrati dal Mezzogiorno sono unificati dalla figura del treno) o caratterizzate dalla stessa tonalità cromatica, come accade, ad esempio, nella scena dedicata alla Mille Miglia. Talvolta, invece, tali accostamenti sono operati basandosi sulla distanza, stilistica e contenutistica, fra le immagini scelte, in modo da porle in relazione forzata fra loro costringendole al dialogo e svelandone significati latenti.
È sotto questo aspetto che il film rivela la sua vera forma: non si tratta tanto di un documentario o di un biopic incentrato su Lucio Dalla, ma di una composizione visiva e sonora altamente personale, operata dal regista tramite la raccolta e il montaggio di reperti audiovisuali. È dunque un lungometraggio che confina con la videoarte ma la cui accessibilità al grande pubblico è garantita dal soggetto, il cantautore Dalla, oltre che dalla base narrativa, sostenuta dal dialogo con i due testimoni, da cui il film non si discosta mai.
Il documentario mostra così un andamento ondulatorio fra la componente visuale, composta dal montaggio delle immagini di repertorio e delle musiche di Dalla, e quella narrativa-storica, affidata alle interviste, che fungono da spunto, da partenza per le straordinarie epifanie audiovisuali che Pietro Marcello riesce a realizzare, ma che non trascendono mai in una dimensione eccessiva, ritornando puntualmente alla base, al reale delle interviste e del dialogo a cui è affidato il prosieguo del “racconto”. Termine, quest’ultimo, usato fra virgolette dato che il lungometraggio si affida a una narrazione debole: sia la storia italiana recente che la vita e la carriera del cantautore sono trattate a grandi linee, tramite la raccolta e la somma di frammenti sparsi e variegati. Tali, infatti, sono i materiali d’archivio che vengono scandagliati, scelti e infine montati; tali sono gli elementi biografici e professionali del cantautore che ci vengono mostrati: pezzi di interviste, brandelli di notizie sugli inizi della sua carriera, sprazzi di video che lo immortalano fra concerti e comparsate televisive; anche le testimonianze di Tobia e Bonaga sono ridotte a schegge: il discorso che i due fanno del cantante si riduce a una serie di aneddoti, a barlumi di ricordi e di impressioni fugaci. Infine, frammentaria è la storia italiana che ci viene proposta, incentrata sulle dinamiche socio-economiche derivate dal processo di industrializzazione degli anni 50 e 60 e, in particolare, sul cambiamento profondo e radicato dei costumi, definito da Roversi nei termini di "genocidio culturale".
È proprio quest’ultimo aspetto, il cambiamento antropologico provocato dalle trasformazioni economiche, ad affascinare maggiormente Pietro Marcello, che ha a lungo riflettuto nei suoi precedenti lungometraggi al permanere del sacro e del passato nelle pieghe del presente. Dalla, dunque, diviene un maelstrom, un centro gravitazionale, che permette al regista di affrontare e raccontare questo cambiamento, tanto da essere presentato come il cantore e l’interprete di questa trasformazione, oltre che dei fenomeni sociali che produce.
La filmografia di Marcello ha da sempre avuto a che fare con la dimensione immateriale del reale: la memoria, il sogno, il passato, la storia non ufficiale. Dunque la raccolta di questi frammenti non si pone come racconto vero e proprio (di Dalla, della storia italiana o, se si vuole, del rapporto fra Marcello e il cantante), bensì nei termini di visualizzazione e rielaborazione di questo aspetto immateriale dell’esperienza umana, di una memoria personale e collettiva che viene trattata e reificata in un insieme di attimi che finiscono col comporre un magma fluido e senza confini di immagini e suoni.
In questa gigantesca massa di materiali si inserisce lo stesso regista, dato che, fra i materiali d’archivio montati e commentati dalle musiche di Dalla, alcuni minuti riprendono due lungometraggi precedenti di Marcello: si vedono i treni de “Il passaggio della linea” e, in seguito, ritroviamo i protagonisti, Enzo e Mary de “La bocca del lupo”. Si tratta di uno dei momenti più interessanti del film: il regista inserisce se stesso in questa sterminata massa di materiali audiovisivi sia per descrivere alcuni momenti della società italiana, sia per rimarcare la sovrapposizione fra la dimensione soggettiva e oggettiva a cui il suo lungometraggio tende, in bilico fra omaggio sentito e commosso al grande cantautore e ricostruzione frammentaria di un pezzo di storia italiana cantata da uno dei suoi maggiori interpreti.
1. D. Zonta, L’invenzione del reale. Conversazioni su un altro cinema, Contrasto, 2017, Roma, pp. 84-85.
cast:
Lucio Dalla, Umberto Righi, Stefano Bonaga
regia:
Pietro Marcello
distribuzione:
Nexo
durata:
79'
produzione:
IBC Movie, Rai Cinema, in collaborazione con Avventurosa, Istituto Luce
sceneggiatura:
Marcello Anselmo, Pietro Marcello
montaggio:
Fabrizio Federico
musiche:
Lucio Dalla