Come suo primo lungometraggio Simone Bozzelli, regista emergente con già alle spalle una lunga esperienza in fatto di cortometraggi e videoclip musicali, sceglie un film sui rapporti umani e sulla loro ambiguità ma, allo stesso tempo, sulla loro incontrollabile necessità. "Patagonia" è il titolo della pellicola ma il contesto è un Abruzzo duale, che si alterna tra l'emarginata, antica e ingenua periferia e la sua dimensione moderna, anarchica e ribelle fatta di rave e vite vissute in camper improvvisati. La terra selvaggia e bruciante del Sud America la s'immagina solo attraverso le parole dei due protagonisti Yuri e Agostino (interpretati da Andrea Fuorto e Augusto Mario Russi). "Patagonia" è la velleità, la terra promessa a Yuri da Agostino come pretesto per sancire maggiormente il loro rapporto di dipendenza affettiva.
Attraverso il paesaggio desolato, scarno della periferia abruzzese, che richiama quasi quello angosciante dell’Ohio di "Gummo" di Harmony Korine (anche qui abbiamo una grottesca scena in una vasca in cui il protagonista chiede alla nonna di poter fare pipì), "Patagonia" ruota fondamentalmente attorno alla complessità e alla necessità dei rapporti umani, un’ambiguità che si sviluppa attraverso il rapporto con l’Altro, che parte con la scoperta di sé e della percezione di sé come macchina desiderante al fine di trasformarsi in essere desiderato.
È il percorso che intraprende Yuri, ventenne di cui di certo sappiamo poco, se non il sospetto di un disturbo della personalità che lo rende più infantile rispetto alla sua età (forse un grado dello spettro dell’autismo?). Una disfunzionalità che tuttavia sembra sfumarsi lentamente, dal momento in cui incontra Agostino, animatore più grande e sicuramente con più esperienze. Tra i due s'instaura un rapporto almeno inizialmente indecifrabile che alterna possesso, ossessione e violenza. Yuri decide di seguire Agostino, attratto dalla vita vera e forse dal giovane stesso, lontano dalla vetrina ovattata del suo nucleo familiare. Il loro rapporto sfuma tra il possesso e la dominazione di Agostino nei confronti di Yuri, soprattutto perché l’aspetto sessuale vero e proprio viene attraversato pochissimo: i due non si amano, ma sono legati da un bisogno reciproco. Agostino ha bisogno di avere qualcuno da dominare e, in concreto, di qualcuno che accudisca il suo bambino; Yuri, di contro, rimane intrappolato proprio come uno di quei topolini che bazzicano tra i camper e che alla fine finiscono ingabbiati, una costrizione che all’inizio sembra inflitta ma che alla fine viene consapevolmente cercata.
L’abbraccio finale all’interno dello scheletro del camper non è una promessa o affermazione di amore, ma è la consapevolezza di una dinamica relazionale paradossale da cui i due protagonisti sembrano per ora non riuscire a fare a meno. Si tratta di un tema che s'insinua anche nei brevi scambi con personaggi secondari come nel dialogo tra Yuri e Morgan (Alexander Benigni) in cui quest'ultimo spiega al protagonista il rapporto con gli animali che vende:
-Nessuno ama stare in gabbia […] poi oh penso che alcuni animali sono fatti per stare in gabbia
-Perché lo tieni al guinzaglio, magari vuole farsi una corsa
-Guarda che non va da nessuna parte anche se lo slego, magari si sente più al sicuro così
Al di là del tema trattato, ciò che colpisce è il taglio crudo e ansiogeno che pervade tutto il film. Lo spettatore ha timore che possa succedere qualcosa di terribile da un momento all’altro, ma alla fine è proprio lì il senso del film: la claustrofobia del rapporto sta proprio nel minacciare o far presagire qualcosa di terribile per tenere attaccato l’altro a sé.
Bozzelli, assieme a Leonardo Mirabilia (direttore della fotografia) e Christian Marsiglia (montatore), sceglie di raccontare non tanto attraverso la parola, ma con le immagini che divampano (letteralmente) nella scena: l’incendio del camper, il piercing al capezzolo, i topolini ingabbiati. Bozzelli con grande sorpresa sembra pronto a collocarsi al di fuori di schemi tipicamente italiani (tendenzialmente più rassicuranti e borghesi) attraverso uno stile che sembra già chiaro dai suoi primi cortometraggi, attraverso un’attenzione particolare per le realtà degradate, in particolar modo verso l’ambiguità e la disperazione dei rapporti che si instaurano in questi contesti, figli non solo di una componente prettamente umana, ma anche di una realtà che in fondo non ha nulla da offrire.
Ma il tratto caratteristico che pervade tutto il film è sicuramente la messa in scena del corpo dei protagonisti, nei suoi dettagli più insoliti: l’attenzione alle unghie tagliate di Yuri, l’episodio del piercing al capezzolo. Il corpo diventa la tela su cui i personaggi proiettano la loro espressione emotiva e identitaria. Si tratta di una caratteristica che rimanda a tratti al cinema d’Oltralpe, come quello di Cèline Sciamma. In entrambi i casi il corpo, svincolato da una dimensione prettamente erotizzata, attraverso la sua fisicità, permette di indagare la complessità dei rapporti umani, in cui il particolare diventa simbolo di un qualcosa di più ampio, il desiderio di percepirsi e di essere percepiti e desiderati dall’Altro. Tuttavia, se in Sciamma la poetica del corpo rivela sempre una matrice prettamente politica e sociale, in "Patagonia" il corpo è sinonimo di sacro ovvero è l’unico strumento capace di esplorare il mistero dei rapporti umani, inclusa, in questo caso, la dimensione malsana di cui, paradossalmente, non si può fare a meno.
Il film, sebbene possa risultare sfidante per alcuni (dialoghi scarsi, scenari al limite del grottesco e una tensione che permea tutto il film), rappresenta sicuramente un passo importante verso un’evoluzione stilistica, si spera, più matura. Bozzelli, con il suo primo lungometraggio, dimostra coraggio nel distaccarsi dal conformismo e dalla ricerca della perfezione cinematografica, auspicando che questo approccio porti a spunti sempre più originali e affascinanti.
cast:
Andrea Fuorto, Augusto Mario Russi
regia:
Simone Bozzelli
distribuzione:
Vision Distribution
durata:
110'
produzione:
Wildside, Vision Distribution, Rai cinema
sceneggiatura:
Tommaso Favagrossa, Simone Bozzelli
fotografia:
Leonardo Mirabilia
scenografie:
Mauro Vanzati
montaggio:
Christian Marsiglia
costumi:
Andrea Cavalletto
musiche:
Leone Ciocchetti, Daniele Guerrini