Ci sono molti elementi dentro l'ultimo film di Mazzacurati. Forse troppi. Il regista in crisi, incapace di adeguarsi a un cinema commerciale a cui il suo produttore tenta di piegarlo; la crisi creativa, l'idea della passione come espiazione dell'uno a favore dell'altro, della pena e del tormento dell'arte o della sua assenza; la vita di provincia con i paesani ottusi e arroganti, e tutte le sue contraddizioni.
Forse pochi attori avrebbero l'intelligenza e la sensibilità per saper interpretare il regista in crisi, e non è un caso che, come fece Moretti ne "
Il caimano", la scelta anche per Mazzacurati sia caduta su Silvio Orlando, capace di incarnare il tormento e la fatica del fare cinema. Se bisogna fidarsi dei propri attori - e anche questo dimostra il film - Orlando è decisamente una garanzia.
Gianni Dubois (Silvio Orlando), regista che non gira un film da cinque anni, è alla ricerca di un'idea per far recitare la starlette televisa di turno (Cristiana Capotondi). Quando un'infiltrazione della propria casa toscana intacca un affresco, viene ricattato dalla giunta comunale del piccolo paese (il sindaco è Stefania Sandrelli, a Dio piacendo momentaneamente sottratta agli spot dello yogurt) per mettere in scena una rappresentazione della Passione.
Il plot si svolge in modo tradizionale, articolato e un po' furbo, con espedienti meta-narrativi, elementi d'aggancio e personaggi messi al posto giusto, semplici ma efficaci sistemi di cause-conseguenze, una via crucis di situazioni, e sembra ricordare a tratti alcune commedie ben costruite degli anni novanta. Gag ispirate da commedia classica (il letto e i bicchieri di carta) e momenti riusciti, si alternano ad altri un po' forzati e di passaggio (la confessione davanti al crocefisso di Ramiro).
Una galleria di personaggi e attori con Kasia Smutniak certamente promossa, e Giuseppe Battiston, altra garanzia del nostro cinema - qui con un personaggio perfettamente nelle sue corde, bonario ex galeotto dalla cadenza del profondo nordest. Dubois/Orlando si presenta dunque come un povero cristo, bistrattato, maltrattato e umiliato, compreso e sostenuto solo da pochi: Ramiro/Battiston, e la ragazza del bar dalle molte sfaccettature: Maddalena, Musa, figura femminile positiva.
Un po' fuori posto Corrado Guzzanti - che chi scrive considera comunque tra i migliori comici di sempre - metereologo/attore pomposo (un fratello della Fulvia di Rieducational Channel) tra il serio e il faceto un po' spaesato, che nel cinema non trova ancora la giusta dimensione. Non è ben chiaro se la Capotondi, invece, ci fa o ci è, tra la finta e la vera svampita e incapace. Nel ruolo dell'attricetta volgare e crudele, chiamata a frequenti interpellazioni, quasi una ragazza delle fonte di "
8 ½" al contrario (e coi dovuti distinguo); reminiscenza, questa, forse espressa con un'endiadi assieme a Caterina, due figure tra loro contrapposte. Menzione anche per Marco Messeri alla faccia di chi pensava che il prezioso ruolo del caratterista nel nostro cinema stesse scomparendo.
L'ottima fotografia di Bigazzi si mantiene nei toni caldi tra l'ocra e l'arancio, e si esalta nel momento stesso della messa in scena della passione; un turning point dove l'atmosfera vira dalla commedia a una situazione grottesca, a tratti surreale, onirica, non nuova al cinema di Mazzacurati, e che scivola verso un finale intelligente che fortunatamente si risparmia quella che poteva essere una facile autoindulgenza.
Come detto molti elementi che si accavalano, quali la sineddoche dell'Italia fatua e ottusa (non particolarmente estremizzata), i compromessi e i dolori del cinema, una satira velata ad ampio raggio, per un film gradevole, ma non esaltante, che sembra partorito da quello stesso sceneggiatore che all'inizio della storia lancia idee stravaganti per possibili soggetti nella segreteria telefonica di Gianni Dubois.
25/09/2010