Tomas (Franz Rogowski), regista tedesco, è sposato da anni con Martin (Ben Wishaw), un graphic designer. Una sera, terminate le riprese dell’ultimo film, Tomas finisce a letto con Agathe (Adèle Exarchopoulos), un’insegnante elementare a Parigi. È l’inizio di un “modernissimo” ménage à trois, in cui Tomas elaborerà la propria identità e sessualità. Dopo la New York di “Love is Strange” e “Little Man”, e la parentesi (rivedibile) portoghese di “Frankie”, Ira Sachs sbarca nella ville lumiere per un francesissimo triangolo amoroso in salsa esistenzialista, con al centro un protagonista iper-sveviano che fa e disfa le fila di una provocatoria, quanto inetta, rivoluzione degli affetti.
Il titolo, programmatico, riprende l’omonima opera incompiuta di Walter Benjamin, alla ricerca dell’origine della società moderna per le strade del centro parigino, l’ideale centro del mondo, lo stesso in cui Tomas, vittima e carnefice del suo disturbo narcisista, oscilla, tra Martin e Agathe, tra Angelina e Amelia per riprendere "Senilità", tracciato da lunghe sequenze che stringono il fuoco della camera sul volto di Rogowski, all’ennesima prova superlativa, all’eccesso impulsivo, esplosivo. Il cinema di Sachs, dunque, raggiunge una maggior complessità di rappresentazione, seppur preservi la leggerezza dell’esecuzione, persa in “Frankie”, ma fondante nei suoi primi lavori. In questo senso, ogni sequenza è essa stessa un passages del viaggio (incompiuto, mai iniziato, circolare?) di Tomas, acquista un’efficacia e un’intensità (soprattutto nel finale) che bilanciano lo squilibrio interpretativo tra il protagonista e i due amanti, volutamente in sottrazione, a indietreggiare, sotto i colpi di un protagonista, Tomas, illusivo e allusivo, anzitutto verso sé stesso, nella sua memoria le cose accadono davvero per la seconda volta, direbbe l’Auster de "L’invenzione della solitudine". Un meccanismo, questo, che alimenta, o determina, l’esercizio di potere che Tomas sperimenta su Martin e Agathe.
Non a caso, le scene di sesso di “Passages” riassumono la volontà emotiva di Sachs in questo film, beffarda, irriverente, sadica nei confronti della fragilità. Con la camera quasi a plongée sui corpi durante l’amplesso, a media distanza, sempre in grado di offrire una visione d’insieme dell’intreccio, delle mani che indugiano sugli spigoli del corpo altrui, geometricamente parlando, in mezzo alle natiche, tra i capelli, nei lobi delle orecchie. Sequenze, queste, lunghe rispetto alle altre del film, che suggeriscono il passaggio di Sachs a un cinema più reale, che sovrappone il piano del non detto con quello del fenomeno, ossia ciò che appare, che si mostra. Una svolta, però, che resta incompiuta, in una pellicola che proprio quando prende forza, ritmo, va di pari passo con la schizofrenia emotiva del suo protagonista, volge al termine.
cast:
Franz Rogowski, Adèle Exarchopoulos, Ben Whishaw, Erwan Kepoa Falé
regia:
Ira Sachs
distribuzione:
Lucky Red, MUBI
durata:
91'
produzione:
SBS Films Productions
sceneggiatura:
Ira Sachs, Mauricio Zacharias
fotografia:
Josée Deshaies
scenografie:
Pascale Consigny
montaggio:
Sophie Reine
costumi:
Khadija Zeggaï