Ondacinema

recensione di Emanuele Di Nicola
8.0/10
E’ composto di frammenti “Paranoid Park”: scenari sgranati, implicazioni intraviste, sequenze suggerite. Dopo la celebre trilogia Gus Van Sant firma un’opera colossale e la supera concettualmente: quei film raccontavano di accadimenti tragici, più o meno definiti, dalla pura astrazione (il capolavoro “Gerry”) fino ai riferimenti contingenti (“Elephant” e “Last Days”), scolpiti nella recente memoria della civiltà occidentale. Episodi emblematici di devastazione, ma sempre casi di singole derive. Invece, “Paranoid Park” prende una fonte scritta, il romanzo di Blake Nelson, e la maneggia alla sua maniera (GVS: Ho giocato molto con la struttura della storia) per puntare a un obiettivo quasi ideale: andare alle fonti della corruzione. Il giovane Alex non medita misfatti e non sfoggia tendenze criminali, è solo un ragazzino spaesato che si appresta al Paranoid Park: il luogo dove compromettersi. Così la collana di circostanze quotidiane, dal college alla fidanzata, viene ripercorsa con la solita vansantiana ironia ma letteralmente en passant: particelle seghettate, quadri distorti e situazioni incomplete all’insegna della distrazione.
Anche l’incontro con la morte acquista segno grottesco e paradossale nello sguardo del protagonista, a segnalare nuovamente la capriola della prospettiva: la cinepresa non fruga realmente l’animo del ragazzo, bensì le rugose nervature del parco. E’ l’unico mostro che insinua davvero apprensione perché, come ricordano i ralenti mistici che lo perlustrano, alla stregua di una cattiva stella immateriale questo spazio colpisce direttamente i destini e li rovina.
Una materia esplosiva che trova il regista al bivio: in beffardo equilibrio tra narrazione e destrutturazione – abbiamo una trama chiara ma continuano a mescolarsi istanti cronologici, a lasciarsi e riprendersi - “Paranoid Park” non rinnega nulla ma è dosaggio consapevole di entrambi. Con sfavillanti caratteristiche dell’autore (la perdizione degli adolescenti, l’inconsistenza degli adulti, l’estetica del brutto – un’altra splendida ragazzina con i brufoli) e almeno una novità rilevante: il ritorno alla fotografia di Christopher Doyle, dopo “Psycho”. Il geniale cinematographer, anche nel ruolo dello sfuggente zio Tommy, in apparenza suona estraneo alle sue corde ma invece afferra impeccabilmente il discorso: al contrario degli ultimi Kar-Wai, qui la trovata esteriore non resta a sé stante ma suggella una pioggia di momenti narrativi a cavallo tra guizzo concettuale e immagine al potere (il fondo autunnale, il gelido amplesso, i congressi di skaters, da ricordare tutti a partire dalla suprema esibizione sull’erba). Nessuno è mai pronto per il Paranoid Park, si afferma nel film: lecito pensare che anche i due Gerry, gli assassini della Columbine High School e la rockstar suicida Kurt Cobain vi abbiano messo piede. Tutti totalmente sprovveduti.
Sui titoli di coda “Strongest Man in the World” dei Menomena: “I am fused out of iron, iron…”.

(in collaborazione con Gli Spietati)
01/01/1970

Cast e credits

cast:
Gabe Nevins, Daniel Liu, Jake Miller, Taylor Momsen


regia:
Gus Van Sant


titolo originale:
Paranoid Park


distribuzione:
Lucky Red


durata:
85'


produzione:
David Allen Cress, Charles Gilibert, Marin Karmitz


sceneggiatura:
Gus Van Sant


fotografia:
Christopher Doyle, Kathy Li


Trama
Portland, Oregon. Alex, skater sedicenne, un sabato sera va a Paranoid Park e conosce un tizio che vive lì. I due saltano su un treno in corsa, ma qualcosa va storto e ci scappa il morto. A scuola di Alex si presenta un detective che vuole parlare con gli skater…
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