Sin dal momento della sua elezione al soglio pontificio, l'ultimo erede al trono di Pietro ha spaccato l'opinione pubblica tra chi lo elogia come un Papa finalmente più vicino ai problemi della gente, che si pone a diretto contatto con la miseria odierna e che cerca di dare una scossa e una riscossa al mondo cattolico (e non solo), e chi invece lo vede come la facciata populista di un Vaticano essenzialmente immutato, una strategia per offrire un volto nuovo della Chiesa, rinnovato nella sua funzione apostolica e spirituale, mentre al di sotto il gioco politico e il potere temporale possono continuare ad agire indisturbati. La divisione sta tra chi in Papa Francesco vede appunto un "uomo di Parola", ligio agli insegnamenti evangelici e determinato a portare testimonianza di Cristo, lontano dalle corruzioni e dagli abusi del potere, e chi invece considera il pontefice un "uomo di (tante) parole", ma di pochi fatti, molto abile nell'
ars comunicandi, ma distante dall'essere motore di un cambiamento effettivo.
Wenders sembra far parte del primo schieramento, tanto da vedere nel pontificato di Francesco quasi una prosecuzione dell'operato del santo di Assisi, di cui Bergoglio ha scelto il nome, nonostante la sua formazione gesuitica. Il documentario, uscito nelle sale proprio il giorno di San Francesco, si apre infatti proprio con le immagini della cattedrale umbra, e i frammenti in bianco e nero (realizzati dallo stesso Wenders) che illustrano e commentano la vita del santo ritornano a più riprese nel corso dell'opera. A ciò si alternano nel montaggio alcuni filmati di repertorio, concessi al regista tedesco dall'archivio vaticano, e spezzoni di alcune interviste svolte a tu per tu col il Papa nei vari anni dalla sua elezione a oggi.
Eppure in tutta questa operazione Wenders sembra essere assente. Se si pensa al suo precedente documentario: "
Il sale della terra", del 2014, vediamo che anche lì l'opera consisteva in un collage di foto realizzate dal fotografo brasiliano Sebastião Salgado, con pochissime riprese originali. Tuttavia in quel caso la potenza del lavoro finale andava ben oltre alle singole foto montate assieme: la voce narrante di Wenders commentava e ricostruiva il senso di quelle inquadrature, che venivano inserite all'interno di un senso e di un contesto più ampio, dentro cui potevano essere elevate, e nel quale si innestava inoltre un discorso ben più complesso del semplice elogio del fotografo.
Qui invece, il documentario ha più il sapore di un poemetto agiografico, limitato dal punto di vista audiovisivo e sbilanciato sul piano del contenuto: la pellicola compie una panoramica generale su tutti i temi cari al vescovo di Roma: dalla povertà, all'immigrazione, all'ambiente, per giungere infine a terreni più impervi quali quelli della pedofilia o dell'omosessualità. Il volo d'uccello di Wenders si sofferma su ognuno di questi punti mostrandoci il pensiero di Papa Bergoglio riguardo a ognuno di essi, ma assumendo in questo modo un carattere quasi promozionale. Wenders non fa che mettersi al servizio del papato e offrirgli un ulteriore canale di comunicazione, quello cinematografico, per entrare in contatto con ogni spettatore, senza interruzioni, senza domande, senza contestazioni.
Il cineasta di Düsseldorf benedice le parole del pontefice come una rivoluzione all'interno della Chiesa e del mondo, ma rinuncia completamente al
Logos, allo scontro di opinioni diverse da cui solo può emergere un pensiero complesso. Rinunciando all'esercizio del dubbio Wenders sceglie di abbracciare a priori e a prescindere l'opinione papale (senza indagarne per altro l'effettività) persino in quei temi in cui lo scontro è oggi più che mai aperto. Non era forse stato più o meno così anche ne "Il sale della terra"? Certo. Ma i due lavori non possono essere comparati innanzitutto per la diversità dei loro soggetti, per la differente statura dei due personaggi analizzati e per la differente influenza sociale e politica che esercitano nel mondo. In questo caso l'acriticità si fa problematica e non può essere ignorata perché trasforma quello che dovrebbe essere un oggetto artistico (il documentario d'autore) in un'opera di propaganda pontificia.