David Fincher, astro nascente di Hollywood, porta sullo schermo la paura dell'America, materializzata nella "panic room", la stanza interna a un appartamento, blindata dall'esterno e dotata di telefono autonomo e monitor per spiare all'esterno. Una sorta di bunker casalingo nel quale rifugiarsi in caso di pericolo, il cui uso, a causa del timore di intrusioni criminali, si è rapidamente moltiplicato negli Stati Uniti. In questo labirinto d'acciaio e cemento armato finiscono intrappolate Meg Altman (Jodie Foster) e la figlia adolescente Sarah, minacciate da un gruppo di rapinatori penetrati nella loro signorile residenza dell'Upper West Side di Manhattan.
L'ossessione di Fincher per gli spazi angusti e le tinte oscure trova così il suo naturale compimento in un ambiente claustrofobico, in cui anche le luci (elementari nelle loro tonalità) riescono a diventare soffocanti. Ne nasce una sorta di saggio sul cinema della schizofrenia, che attraversa le generazioni, da "Dr. Jekyll and Mr. Hyde" a "Psycho", da "Marnie" a "Shining".
A dare nerbo al film è anche il soggetto di David Koepp (uno degli scrittori più quotati di Hollywood: sue le sceneggiature di "Omicidio in diretta" di De Palma e del "Mondo perduto: Jurassic Park", ma anche la regia di un film come "Trigger Effect", incentrato su forme di paranoia vicine a quelle di "Panic Room"). Una sceneggiatura che metterà la povera Sarah Altman, già abbandonata dal marito, di fronte a un crescendo di difficoltà degno della Mia Farrow di "Terrore Cieco", quasi a voler dimostrare il teorema di
Alfred Hitchcock sul thriller, secondo il quale quanto più numerose sono le avversità che si addensano sul percorso del protagonista, tanto più lo spettatore si identificherà con esso. E c'è molto di
hitchcockiano anche nello stile di Fincher, così attento ai dettagli, alle luci, alle inquadrature.
La passione del regista per il thriller, già manifestata in "Seven" e (in parte) "The Game", trasforma quella che è una tipica situazione da gioco del gatto con il topo in una tesissima partita a scacchi in cui ogni mossa può rivelarsi fatale.
La stanza-bunker diventa così l'architrave di un percorso all'interno della casa, il piano di gioco di un regista che vi muove la macchina da presa con maestria, con carrelli e dolly impossibili, in un crescendo vertiginoso, attraverso tragitti impervi tra le mura, i tramezzi, i diversi piani e perfino attraverso i buchi della serratura, per i quali l'obiettivo della cinepresa passa come se fosse immateriale. E' anche da questa regia virtuosistica, come già in "Seven", che nasce la
suspence.
Ma a nobilitare il film è anche una straordinaria Jodie Foster (incinta durante le riprese), in un personaggio agli antipodi di quella Clarice Sterling che nel "Silenzio degli innocenti" le fece vincere un Oscar. In origine il personaggio doveva essere interpretato da Nicole Kidman, che ha dato forfait per i postumi dell'incidente subito sul set di "Moulin Rouge", quindi da Sandra Bullock. Ma nessuna delle due - c'è da scommetterlo - avrebbe saputo donare alla protagonista la stessa disperata fragilità della Foster, ex-bambina prodigio cui i primi segni dell'età adulta sembrano aver conferito nuovo fascino ed espressività. Nel cast svettano anche un ottimo Forrest Whitaker e un sadicissimo Dwight Yoakam (nella vita, un cantautore; nel film un memorabile criminale nascosto per quasi tutto il tempo da un passamontagna).
Fincher, comunque, non cerca di approfondire le psicologie dei personaggi. Preferisce piuttosto affidarsi ai loro istinti primari (paura, avidità, spirito di sopravvivenza, combattività, pietà). Semmai, il film è una parabola sulla ricchezza e sui suoi vantaggi difficili da gestire, per i quali occorre a volte il manuale delle istruzioni. La stanza del panico, infatti, è un simbolo delle fobie di una classe sociale, ma anche la metafora di come il benessere si possa trasformare in una trappola infernale.
Introdotto da straordinari titoli di testa (un'attenzione che svela l'origine di regista di
videoclip di Fincher), fotografato magistralmente da Darius Khondji, già autore delle fosche tinte di "Seven", e da Conrad W. Hall, "Panic Room" è un film ben diretto e confezionato. Peccato solo che, a volte, incappi negli stereotipi del thriller hollywoodiano rivelandosi, in ultima analisi, più convenzionale di quanto le intenzioni avrebbero lasciato intendere.
06/06/2008