Indigesto ai critici che considerano il riciclaggio di stereotipi cinematografici un peccato mortale, "Pandorum - L'universo parallelo" del tedesco Christian Alvart non è imputabile dell'impudicizia di un citazionismo ad oltranza ("Alien", "Punto di non ritorno", "The descent") per il semplice fatto di non essere a capo di alcuna rifondazione estetica: ne andrebbe piuttosto apprezzata, con la dovuta continenza, l'agilità esecutiva da buon film di genere, uno sci-fi/horror teso, brumoso e claustrofobico dalle ambientazioni ben curate. Anch'esse, invero, piuttosto erudite ("Blade Runner", "Incontri ravvicinati del terzo tipo").
Due astronauti, il tenente Payton ed il Caporale Bower, si risvegliano nella nave spaziale Elyseum, lanciata nel 2174 dalla Terra, sovrappopolata e con risorse al lumicino, verso il pianeta Tanis. Nessun ricordo sull'esito della spedizione: buio nella mente e solitudine nell'immensa e labirintica astronave. Con Payton ai computer, Bower si inoltra in un'esplorazione alla cieca tra condotti, corridoi, magazzini e celle per raggiungere il reattore e rimettere in moto l'apparato: magari, facendo luce sull'accaduto. S'imbatterà in una singolare galleria di superstiti e in una orripilante colonia di umanoidi assetati di sangue.
Il progetto "Pandorum" doveva essere
low budget, prima che l'entusiasmo degli studios ne facesse un blockbuster da oltre 30 milioni di dollari. Gli investimenti meglio riusciti riguardano scenografia e cast. Il brontolio costante dei motori in avaria ed il rantolo dei mutanti fanno da sottofondo ad un viaggio allucinato in una penombra cunicolare e metallica, in grado di assorbire lo spettatore nella dimensione parallela dell'incubo fantascientifico. Il grosso della recitazione è sulle spalle dell'affidabile Dennis Quaid (Payton), smagliante interpretazione minimale, da seduto, tutta contrazioni facciali; e Ben Foster (Bower), esile action hero dalla gamma spiritata di sfumature emotive, che di recente aveva ben figurato in "The Messenger" in un ruolo altrettanto arcigno e calibrato, benché più complesso. Per il resto,
silhouettes varie, destinate a rimanere nella penombra: dall'algidità teutonica della bella Antje Traue (ricercatrice combattente), alla muscolarità circense di Cung Le (ninja spaziale vietnamita). Nota di merito, semmai, per la convincente paranoia di Cam Gigandet, protagonista di un bel duetto con Quaid sul tema "chi di noi due è pazzo". Il ragazzo si farà.
Se l'incipit simil-Solaris (versione originale, Tarkovskij) poteva far pensare alla fantascienza da psicanalisi - "Pandorum", non a caso, è il nome di una disfunzione psichica che colpisce i viaggiatori costretti all'ibernazione -, l'immediato sopravvento del contesto iconico, le atmosfere ansiogene ma un po' fatue, la sceneggiatura che snocciola con regolarità meccanica gli ingressi dei superstiti come prevedibili protagonisti di un gioco di ruolo, adombrano ogni ambizione di complicanza drammatica, designando piuttosto la scelta espressiva (a tratti, "inespressiva") del film d'azione dalle tinte orrorifiche. Così, anche discreti spunti etici quali l'arbitrio come garanzia del livello minimo di civiltà o la fenomenologia dell'incontro-scontro nella lotta per la sopravvivenza, sono dispersi nel
tourbillon di azioni convulse, una ridda che la struttura per
flashback rende a un tempo più emozionante e criptica, ma anche più vacua ed epidermica. Un prodotto attraente, di buon artigianato - non artistico - che solo in parte il montaggio (Philip Stahl e Yvonne Valdez) riesce a sgrossare: 108 minuti, anche se diligentemente montati, sono un po' troppi.
Quella di Alvart è una galassia un po' posticcia, ma accogliente per gli amanti del genere. La sensazione, un pizzico sgradevole, è che i veri "amanti" soddisfatti saranno quelli del videogioco tratto dal film.
15/08/2010