A uccidere Adolf Hitler ci provarono in tanti, durante gli anni della guerra. Nessuno ci andò vicino come un gruppo di politici e militari che, nell'estate del 1944, tentò di rovesciare il regime del Führer usando l'arma dell'inganno prima di pistole ed esplosivi. È l'Operazione Valchiria, un ambizioso progetto per cui, dopo aver ucciso Hitler nella sua stessa "tana", le truppe della riserva, autorizzate dallo stesso dittatore, avrebbero preso il comando della Germania arrestando tutti i sodali nazisti con una falsa accusa di tentato colpo di stato. Ovviamente, il piano fallì e tutti gli autori del tradimento furono giustiziati.
È il colonnello von Stauffenberg, il sempre giovane Tom Cruise, a incaricarsi direttamente di portare la bomba nel covo dove Hitler riceve i suoi ministri e studia le strategie militari. Uomo che crede nella Santa Germania, il militare è mutilato alle mani e ha perso un occhio in battaglia. Sa di non poter servire contemporaneamente la patria e il suo leader e per questo accetta il rischio di perdere tutto pur di fare qualcosa. Lo dice infatti spesso, nei suoi scambi di battute con gli associati meno risoluti di lui: «In guerra non tutto riesce perfettamente. Tutti i piani hanno i loro imprevisti. Quello che conta è l'azione». Ed è con queste parole che riuscirà a trascinare anche i più restii a tentare l'impossibile.
La storia ci ha già narrato come cadde il nazismo: non fu certo per una rivolta interna al partito. Inutile fare dunque menzione di come finirà l'Operazione Valchiria. Ma se il finale è ampiamente risaputo, tutto quello che sta nel mezzo, nelle due ore del film diretto da Bryan Singer, ripercorre abbastanza bene quello che provarono gli autori dell'azione sovversiva: speranza. Gliela si legge bene negli occhi a tutti, primo fra tutti lo Stauffenberg di Cruise; una convinzione crescente sulla riuscita del piano, in modo da lanciare ai posteri il messaggio che la Germania non era tutta come Hitler.
La cosa migliore del film, e il merito va tutto a Singer, non certo alla sceneggiatura fin troppo semplificatrice di Christopher McQuarrie (già autore de "I soliti sospetti"), è proprio nella costruzione di una tensione positiva, incoraggiata da un ritmo crescente e sempre più sincopato, negata solo negli ultimi minuti di film. Il regista, a differenza dei suoi coetanei hollywoodiani più celebrati (da Nolan a Linklater, passando per i due Anderson), si è costruito una carriera da manovale della macchina da presa più che da vero autore di se stesso. Poco male. L'importante è trovare una propria dimensione e Singer, nel lavorare con i registri più classici possibili a sceneggiature altrui, è bravo e modesto. Forse non lo vedremo mai girare un capolavoro, ma la solidità con cui mette in scena, in questo caso, un thriller politico-militare è apprezzabile. Il montaggio e la scelta di uno stile elegante e algido contribuiscono a rendere godibile la pellicola: da queste parti, forse, non si sarà scritta una grande pagina di storiografia, ma almeno si respira buon cinema.
31/01/2009