Ce n'è uno ogni anno. Il filmetto indipendente piccolo piccolo, così delizioso che pare mettere d'accordo tutti.
"Once" arriva però prima di "
Juno", essendo uscito in patria addirittura due anni fa. Da allora di strada ne ha fatta. Nel frattempo ha acquisito la fama di
cult (soprattutto tra i più giovani), vinto premi in ogni festival del pianeta, è uscito negli Usa incassando quasi venti milioni di dollari (a fronte dei soli 150mila di budget), e vinto pure un Oscar per la miglior canzone "Falling Slowly" (spingendo la relativa colonna sonora addirittura nella Top 10 della classifica Billboard).
Qui in Italia è rimasto congelato sugli scaffali dei distributori a lungo, finché il buon Nanni Moretti con la sua Sacher Film ha avuto la buona idea di mandarlo nelle sale.
Così, eccolo qui, il famigerato "Once". Dunque, che avrà di così speciale questo film tanto amato? Forse è sbagliato avvicinarsi a un'opera con eccessive aspettative (ma come può essere altrimenti quando si è inesorabilmente bombardati da tante informazioni positive?), ma, a conti fatti, ci pare che questo film non abbia poi molto da dire.
Il breve incontro tra il musicista di strada dal cuore spezzato e la bella pianista ceca porta con sé reminescenze del bellissimo "Prima dell'alba" di Linklater, ma solo pensare che si avvicini alla miracolosa leggerezza del film citato è un'utopia. Per carità, non che "Once" sia un brutto film, si può vedere senza problemi. Il fatto è che non si discosta di una virgola da altri cento prodotti analoghi, e che il tutto pare più che altro un lungo
clip promozionale (un
videoclip, difatti, è il lungo piano sequenza della protagonista che per strada intona "If You Want Me") per lanciare la carriera solista del cantante-attore Glen Hansard (leader dei Frames) e della compagna (anche nella vita) Markéta Irglovà.
Sono le canzoni, difatti, l'anima e il cuore del film di Carney. Esse occupano gran parte della pellicola, ed è proprio nelle sequenze musicali che ci si emoziona maggiormente. Alla musica di Hansard, sorta di novello
Damien Rice, con un tocco di Cat Stevens e
Van Morrison (il protagonista canta "And the Healing Has Begun"), spetta il compito di svelarci qualcosa di più sui sentimenti dei personaggi (che non hanno nome, forse a voler sottolineare la loro "universalità" emotiva), sul loro passato, sulle loro intenzioni. E, in quella che è la sequenza più riuscita (Hansard che compone una canzone guardando un filmato in cui compare la ragazza che ama), Carney riesce a comunicare in maniera sincera e toccante la genesi di ogni processo creativo.
A parte questo non c'è molto. Le canzoni (che ben presto rischiano di saturare chi non è fan del genere) sono troppe, e spesso sconfinano nella melensaggine ("The Hill"), e la (fastidiosa) regia semi-amatoriale, che vorrebbe dare alla vicenda un'aurea di "realismo", è contraddetta dalla sceneggiatura che, in più di un'occasione, si affida alle soluzioni più accomodanti (basti pensare a come i protagonisti ottengono il denaro per registrare il loro disco, o anche alla facilità con cui tale disco è prodotto).
Insomma: delicato, romantico, piacevole. Definitelo come volete. Ma il grande cinema sta da un'altra parte.