Tómas Lemarquis. L’avete visto, forse. In “X-Men Apocalypse” interpreta il mutante Calibano, in “Blade Runner 2049” l’archivista – anche se il target di questi film e quello di “Ognuno ha il diritto di amare” sono forse distanti. Calibano viene ripreso anche nel successivo “Logan”, ma questa volta interpretato da Stephen Merchant. Per interpretare il mutante, Stephen si è dovuto radere a zero e sottoporre ad un estenuante make up, Tómas no. Tómas soffre di alopecia universale. A 13 anni ha perso tutti i peli del corpo. Non ha bisogno di trucchi per sembrare un mutante da fumetto.
“Ognuno ha il diritto di amare” si pone su un curioso confine tra realtà e finzione. Tómas che discute delle conseguenze del suo aspetto sulla sua sessualità interpreta veramente se stesso? In quale misura attinge alla sua esperienza personale e in quale misura la reinterpreta? Nel film, Tómas si racconta nel contesto di una specie di corso di yoga per disabili di varia natura insieme ai propri partner. Qui entrerà in contatto con Christian e Grit, una coppia che gli farà cambiare prospettiva su come ci si possa relazionare col proprio corpo e la propria sessualità.
Questa storia è intrecciata con quella di Laura, di cui nuovamente non conosciamo il grado di verità. Laura non solo non riesce a fare sesso con uomini, proprio non riesce a tollerare di essere toccata da loro. Sceglie di rivolgersi a una serie di uomini che offrono vari tipi di servizi – due, un modello e un trans, si spoglieranno e toccheranno per lei, il terzo le proporrà varie forme di dominazione. La regista, Aida Pintile, è più direttamente coinvolta in questa parte del film, parla spesso con Laura e interagisce con lei (ma non con i prostituti).
L’immagine della regista sullo schermo fa spesso da controcampo al film, che comunque ha ben cura di inquadrare le proprie stesse telecamere in più di una occasione per mantenere alta l’attenzione sul problema della rappresentazione. Dopo una lunga scena in un piccolo sex club sadomaso, viene inquadrata la torre di telecamere e fari piazzata nel mezzo della stanza che è servita ad osservare tutto.
Questa scelta stilistica è ben collegata col tema della sessualità – anche senza arrivare ai casi estremi dei giochi di ruolo, suggerisce la regista, nella sfera del sesso stiamo sempre interpretando proiezioni di quelli che pensiamo essere i desideri nostri o altrui. Inoltre ancora oggi, nonostante i livelli di pubblicità delle nostre vite, accedere alla vita sessuale di una persona vuol dire entrare in una sfera così intima che subito esercitiamo potere su quella persona (si veda la discussione sull’importanza della confessione nell’organizzazione della religione cattolica nel secondo volume della storia della sessualità di Michel Focault). Quindi fa bene la Pintilie a interrogarsi sulla legittimità del proprio riprendere.
Però, pur capendo che un film del genere nasce da una urgenza, non si può non pensare di trovarsi di fronte a un’idea non domata fino in fondo, non realizzata come si poteva fare. La storia di Laura in più punti gira a vuoto, si ha la sensazione paradossale di assistere a una indagine in cui pezzi importanti sono lasciati fuori. Anche sul livello di rappresentazione della sessualità sembra ci siano state incertezze, inquadrando a volte troppo a volte troppo poco. Infine, il collegamento tra le due storie sembra essere veramente tenue e talmente artefatto che getta una luce retrospettiva un po’ ambigua sulla supposta volontà documentaristica dei precedenti quattro quinti del film.
I momenti migliori sono quelli in cui è in scena Christian, una personalità magnetica e una sincerità disarmante, in grado di mettere in discussione lo spettatore con la propria visione della vita, usando la lente della sessualità dei disabili per porsi domande più ampie. Purtroppo poi la scena finisce e, senza una vera ragione, dobbiamo tornare a seguire la vicenda di Laura con la quale è molto difficile trovare un collegamento o provare empatia.
cast:
Tómas Lemarquis, Laura Benson, Christian Bayerlein
regia:
Adina Pintilie
titolo originale:
Toudh me not
distribuzione:
I Wonder pictures
durata:
125'
produzione:
Adina Pintilie
sceneggiatura:
Adina Pintilie
fotografia:
George Chiper-Lillemark
scenografie:
Adrian Cristea
montaggio:
Adina Pintilie
costumi:
Maria Pitea
musiche:
Ivo Paunov