La qualità c'ha rotto il cazzo... Viva la merda!!!
(René Ferretti)
Giacomo Ciarrapico, Mattia Torre e Luca Vendruscolo, insieme a Paolo Virzì, sono stati gli unici autori di commedia all'italiana degli anni Duemila. "Boris" riusciva a raccontare uno spaccato della "società dello spettacolo" d'Italia attraverso la deformante lente del grottesco, mettendo in scena una meta-serie che sbertucciava gli ingranaggi ipocriti, le piccinerie e il dilettantismo che regnano sui set del tipico e più mediocre prodotto televisivo, la
fiction. "
Boris - Il film", trasportando la sgangherata troupe de "Gli occhi del cuore" al cinema, è stata poi un'opera assai sottovalutata, superficialmente bollata come una mera parodia del cinepanettone, quando il nodo gordiano constava nel salto al cinema e la presa in giro delle cosiddette produzioni impegnate che, con alcuni accorgimenti e qualche ritocco in fase di scrittura, si mutava in un deflagrante e ignobile "film di natale". E "Boris - Il film", eccezion fatta per qualche calo di ritmo, centrava il bersaglio, tanto che l'unica scena de "La Casta", il film nel film girato da Ferretti in pianosequenza, anticipa (e già parodia, quindi, supera) la festa nella villa dei Bernaschi che conclude, tra cinismo e moralismo, "
Il capitale umano" di Virzì.
L'ampliamento dello spettro produttivo del cinepanettone ha portato non solo l'azzeramento di qualsivoglia impegno (intellettuale, civile, artistico) ma anche la distruzione di un modo di pensare e di fare commedia in Italia, fatto di pressapochismo cinematografico e di massimi risultati ottenuti col minimo sforzo. Con "Ogni maledetto Natale" Ciarrapico, Torre e Vendruscolo tornano sul luogo del delitto non più da una prospettiva esterna e velenosamente parodica, bensì scrivendo e dirigendo un film di Natale: l'esperimento di ribaltare le carte nella tavola di convenzioni ormai usurate fallisce, però, clamorosamente. L'intreccio dimostra una sceneggiatura approssimativa con svolte tramiche inverosimili, avendo l'unico fine di inscenare la folle farsa natalizia: Giulia e Massimo si conoscono per caso (dopo che questi è stato rapinato da un Babbo Natale), scatta il colpo di fulmine, si innamorano e il ragazzo, nonostante la ritrosia iniziale, accetta l'invito di passare la ricorrenza insieme alla di lei famiglia, nella campagna viterbese.
Più si va avanti, più si nota l'assenza di un ritmo comico, mancano idee di regia, sostituite dal televisivo dialogo tra inquadrature totali e piani medi, viene meno anche la capacità di scrittura, perché, oltre al pretestuoso plot romantico, non si può considerare veramente approfondito alcun carattere. Il vero baricentro di "Ogni maledetto Natale" consta quindi nella dialettica tra gli opposti nuclei familiari: i bifolchi Colardo a Cucuia, protagonisti del cenone della Vigilia, e l'aristocratica famiglia di Massimo, i facoltosi industriali Marinelli-Lops, protagonisti della seconda parte, dedicata al pranzo del 25 dicembre. Stratagemma concettuale è far interpretare le due famiglie allo stesso cast, in ruoli ovviamente differenti e, in alcuni casi, speculari: i Colardo sono descritti come persone eccentriche, totalmente a briglia sciolta per via dell'euforia natalizia, fermi a un livello di sviluppo sociale tribale dove le canoniche tappe della riffa al bar del paese, del cenone, degli spietati giochi di carte e della caccia al cinghiale hanno un valore rituale liberatorio. Questa sfrenata galleria grottesca dialoga nella seconda sezione col gruppo familiare dei Marinelli, che rispecchiano un altro ceto sociale, più compito e altolocato, ma l'assunto di base dovrebbe dimostrare come anch'essi siano vittime della medesima follia, non curandosi nemmeno del suicidio del domestico filippino.
La satira, se di satira si può parlare, non graffia mai, e va bene, vuole essere solo una commedia di Natale; ma se commedia vuol dire il susseguirsi di scene in cui gli attori (Pannofino, Corrado e Caterina Guzzanti, Mastandrea, Giallini etc.) si fanno carico della vis comica con il loro campionario di tic, smorfie ed espressioni saturando ogni personaggio fino alla macchietta (pessimo il maggiordomo filippino di Guzzanti, perfetto in uno spettacolo teatrale o televisivo dell'attore romano, ma completamente fuori contesto nel film) e riducendo ogni sequenza a uno sketch sconnesso e campato in aria, allora il film finisce per non funzionare in nessuna delle sue parti.
Non c'è film più drammatico di una commedia che non sappia far ridere. E "Ogni maledetto Natale" rivela un problema che va oltre i limiti dell'innocua operazione: i tre registi, pensando di superare in intelligenza i cliché del cinepanettone, ne seguono strutturalmente le orme. Ci sovviene quindi un emblematico scambio di battute di "Boris - Il film" che esemplifica la forza seduttiva del cinepanettone: René Ferretti sta girando il trailer del prossimo film di Natale e, riconoscendo uno degli attori come un grande interprete teatrale, si avvicina per chiedergli cosa ci faccia lì; la risposta è icastica: "Ho fatto Ronconi, ho fatto Sorrentino e mo' ho fatto i sordi. René, la grande narrativa popolare... è il futuro! Devo caca'!".
29/11/2014