Il rapporto di Carlo e Silvia è molto parlato, molto cerebrale, in esso domina l'ossessione delle telefonate, delle domande insinuanti, degli incubi incalzanti. Carlo appare come un uomo molto egoista, che segue le sue passioni inconsapevole di lasciare dietro di sé cicatrici enormi. Silvia è una donna dominata dalle sue debolezze, dalla nostalgia, dalla volontà di essere posseduta da un altro uomo, che la costringe a fare cose che non aveva mai pensato di fare. La sua volontà è completamente annientata di fronte alla prepotenza crescente del giovane, totalmente incapace di opporre una qualunque resistenza. E' attratta dalla violenza, dalla brutalità, dalla volontà di soddisfare i bisogni dell'amante anche se sono palesemente contrari al sentire comune o ai suoi desideri.
Carlo percepisce il pericolo che sta correndo la moglie, ma il suo egoismo, il suo egocentrismo, gli impediscono di fare qualcosa di concreto per aiutarla. Egli si limita a ossessionarla con continue richieste di particolari, anche fisici, del giovane con cui intrattiene un rapporto. Egli ha il sentore della tragedia ma è una tragedia inevitabile. La donna si fa irretire da un gioco molto pericoloso, fatto di dominio, di umiliazioni, di morte.
Dal punto di vista registico l'aspetto della previsione è evidenziato dal sogno in cui Carlo immagina la moglie impegnata in una fellatio al giovane. Episodio che puntualmente, in un momento successivo del film, gli sarà raccontato dalla moglie come realmente accaduto.
I personaggi del romanzo sono abbastanza stereotipati ed era difficile trarne un film di un certo spessore. Va riconosciuto il merito a Martone di aver portato sullo schermo un libro molto scomodo, disturbante. Merito del regista è quello di aver trovato soluzioni decisamente cinematografiche per un discorso affatto scontato. L'impianto teatrale del film non nuoce al suo svolgimento. Sembra che l'autore si trovi totalmente a suo agio utilizzando entrambi i mezzi espressivi.
La teatralità è evidente soprattutto nella molteplicità dei dialoghi, mai banali, nonostante l'esplicito riferimento a un linguaggio spesso poco cinematografico. Un discorso che si fa cinema con il sapiente utilizzo della macchina da presa e le esplicite citazioni al maestro Antonioni.
La telecamera è spesso impiegata per scoprire, indagare, accarezzare i corpi, in base al contesto in cui si trovano. Ne è venuto fuori un film che può infastidire, molestare lo spettatore nel porlo di fronte all'eros manifesto e a quello non manifesto.
I personaggi femminili sono decisamente più intriganti di quello maschile, grazie a una splendida interpretazione delle due attrici, Fanny Ardant e Giovanna Giuliani nella parte della giovane Lù. Carlo è molto più stereotipato. Egli è una figura maschile abbastanza convenzionale. Da questo punto di vista la sceneggiatura e il regista non offrono nulla di nuovo nella resa del personaggio. Tanto meno la offre l'interpretazione di un bolso Michele Placido, ormai incapace di una qualsiasi recitazione che non sia il ripetere all'infinito sé stesso.
Ultimo importante dato, Parise fu l'intellettuale italiano che più si adoperò per la distribuzione del film di Truffaut "L'Enfant sauvage" e fu anche il traduttore dei dialoghi di "Jules et Jim". La scelta di Fanny Ardant come protagonista di un film tratto da un romanzo di Parise oltre che molto felice, appare come una sorta di disegno del destino.
cast:
Sergio Tramonti, Fanny Ardant, Michele Placido, Giovanna Giuliani
regia:
Mario Martone
titolo originale:
L'odore del sangue
distribuzione:
Mikado
durata:
100'
produzione:
Italia 2004
sceneggiatura:
Mario Martone
fotografia:
Jacopo Quadri