Nella sequenza introduttiva di "Notte magiche" c'è molto del nuovo film di Paolo Virzì, il quale, dopo la trasferta americana, torna a occuparsi della realtà italiana, raccontandola attraverso la materia che conosce meglio, ovverosia il cinema visto nella duplice veste di spettatore e addetto ai lavori. Ma andiamo con ordine e torniamo alla scena iniziale, quella nella quale il regista definisce il tono e lo scenario della storia che andremo a vedere: accade dunque che in un bar sulle rive del Tevere, mentre la gente assiste alla sconfitta della nazionale di calcio, battuta ai rigori dall'Argentina in un'epica quanto infausta partita, una macchina precipiti dal ponte per inabissarsi nelle acque del fiume. La particolarità del quadro appena descritto consiste nel fatto che se in altri frangenti un avvenimento del genere avrebbe attirato l'attenzione dei presenti, distraendoli dalle loro normali occupazioni, nella fattispecie è invece destinato a passare in secondo piano rispetto alla delusione provocata dall'esito della partita. Virzì si premura di ribadire questo concetto nel passaggio successivo in cui ascoltiamo una telefonata del capitano dei carabinieri giunto sul posto con l'incarico di occuparsi della morte del noto produttore cinematografico, ritrovato senza vita a bordo dell'auto, dove, alle comunicazioni di rito sulle generalità dello scomparso prevale quasi subito l'urgenza di lanciarsi in un commento sul match appena conclusosi.
In apparenza casuali, la partita di calcio e la morte del produttore sono legati a doppio filo ai protagonisti della storia: Antonino, Luciano ed Eugenia, infatti, in qualità di finalisti del premio Solinas, si ritrovano catapultati nel cuore della mondanità capitolina dove, oltre ai propri beniamini, incontrano Leandro Saponaro (Giancarlo Giannini), il produttore della cui morte sono sospettati. Siccome il film altro non è che la versione filmata del resoconto rilasciato dai ragazzi a chi li interroga, Virzì stabilisce fin da subito la supremazia della parola sull'immagine e della memoria sull'attualità. Una gerarchia, questa, destinata a non rimanere l'unica nota inderogabile del dispositivo messo a punto dal regista poiché, fin dalle prime immagini, Virzì sancisce altri due punti verso i quali non ammette deroga: il primo è dato dal fatto di mettere in comunicazione il percorso sportivo dei calciatori italiani impegnati nel torneo di calcio con quello artistico e cinematografico compiuto dai protagonisti all'interno del mondo del cinema, e quindi di fare della parabola agonistica dei primi lo specchio dello smarrimento e della mancanza di fiducia conseguenti alle esperienze patite dai ragazzi nel corso del loro apprendistato. Il secondo, invece, è di natura drammaturgica, deriva dall'effetto prodotto dalla collisione tra serio e faceto, tra comico e drammatico puntualmente riproposto in ogni scambio di battute e presente in ogni singola scena, a cominciare da quella con la quale si è iniziata l'analisi.
Forte di questa struttura, "Notti Magiche" si sviluppa, da una parte, come il romanzo di formazione (un classico del cinema di Virzì) relativo ai tre protagonisti alle prese con l'esperienza che cambierà per sempre le loro vite; dall'altra, mettendo in scena una sorta di
otto e mezzo cinematografico in cui, in un costante gioco di specchi tra finzione e realtà, storia comune e autobiografia (impossibile non identificare i trascorsi di Luciano e la prima parte della sua esperienza romana con quelli del regista livornese) rievoca, attraverso personaggi di fantasia, l'ultima appendice del cinema degli anni d'oro, quello dei grandi vecchi della commedia italiana, e, in particolare, di sceneggiatori come Age e Scarpelli. Tra i molti riferimenti non mancano quelli a interpreti del calibro di Satta Flores, Gassman e la Sandrelli individuabili rispettivamente nelle figure di Antonino, Luciano e di Katia, la sua ex ragazza. Nel ricordarli, Virzì li tratta come avrebbero fatto gli autori delle storie di Germi, Monicelli e Risi, cioè senza risparmiargli nulla in termini di cinismo e di scaltrezza, ma anche riconoscendogli il valore di un "mestiere" che in qualche maniera sembra rimpiangere.
Detto che, la ricostruzione delle notti romane con il solito stuolo di "nani e ballerine" ha non pochi echi con la fauna umana descritta da Sorrentino ne "
La grande bellezza" e che la recitazione sopra le righe degli attori accentua la maschera e cannibalizza le sfumature, risultando talvolta monocorde, il problema di "Notti magiche" è quello che il passaggio dalla teoria alla pratica non avviene con l'ispirazione di altre volte e molte delle immagini che scorrono sullo schermo stentano a prendere vita per rimanere a uno stato approssimativo di rappresentazione. Certo, alcune sequenze, come quella finale all'interno del commissariato con l'inversione dei ruoli tra regista e spettatore, è davvero riuscita così come lo sono altre scene presenti nel film. Purtroppo però la molteplicità di temi e di personaggi costringe il regista a una trattazione semplificata e sbrigativa destinata a rimanere in superficie.