"Nostalgia della luce" costituisce la prima parte di una trilogia che rappresenta un atto d’amore del regista verso il Cile, sua terra natia, e che trova un seguito ne "La memoria dell’acqua" (2015) e nel più recente "La cordigliera dei sogni" (2019). Il documentario è concepito come un’opera dal sapore filosofico, in cui il peregrinare della voce narrante che ci conduce lungo un filo logico che passa dall’astronomia all’archeologia e alla geologia ha un peso specifico non inferiore alle immagini cui si salda. Così facendo, Patricio Guzman si discosta dalla tecnica impiegata per il pluripremiato documentario che lo ha reso celebre in tutto il mondo: "La battaglia del Cile", in cui era invece la mostrazione a prevalere sulla narrazione. Lì l’eloquenza delle immagini, praticamente quasi tutte riprese in diretta, necessitavano di un commento ridotto all’osso, che puntasse all’essenziale e fungesse da sapida punteggiatura guardandosi tanto dalla pedanteria quanto dalla ridondanza; qui sono le immagini a fungere da manometro di senso, da collante visivo a un tessuto verbale che si muove con empatica disinvoltura tra spazi e tempi quanto mai distanti, restituendo una coerenza di significato che ha l’articolazione di una summa.
Ma cosa hanno in comune l’archeologia, l’astronomia, la geologia con la storia di uno dei paesi dell’America Latina più martoriato a causa di una feroce dittatura militare? Il bisogno intrinseco di ricercare, scavare, e infine scoprire la verità per renderla patrimonio da tutti condivisibile. Così, come un archeologo deve sondare il terreno per cavarne le testimonianze che danno sostanza alla ricostruzione storica, allo stesso modo i parenti dei desaparecidos vagano nel deserto di Atacama alla ricerca di quanto resta dei loro cari, vittime di sparizioni, torture e fosse comuni. Come il geologo scruta i reperti litici per spiegare come la struttura di una pietra o una roccia si sia formata, così lo storico non può spiegare il Cile odierno senza prendere in considerazione il suo passato. Quanto all’astronomia, essa ci appare fin da subito una scienza privilegiata per capire il Cile. Una chiave di lettura insolita, ma indubbiamente affascinante, quella proposta dal regista. Innanzitutto per il titolo del film, giacchè "Nostalgia della luce" è sì quella della degli astronomi che nottetempo osservano gli astri, ma è anche quella della generazione degli orfani e delle vedove desiderosi di verità e giustizia, che sentono il bisogno inestinguibile che venga fatta chiarezza su quanto accaduto dopo il 1973.
L’incipit del film si apre all’interno di un osservatorio astronomico. Siamo nel deserto di Atacama, il protagonista muto della pellicola, un po’ come il mare e le Ande lo saranno negli altri due episodi della trilogia. Il fatto di essere il luogo più arido della terra ha consentito a quest’area del paese di diventare luogo d’elezione per tantissimi astronomi, non solo cileni. È qui che si trovano i telescopi più potenti del nostro pianeta. La sagace lente d’ingrandimento di Guzman mette allora a nudo i paradossi del proprio paese: laddove tanti giungono da tutto il mondo per osservare, assetati di scienza, gli astri, nessuna commissione d’inchiesta nazionale o internazionale è riuscita ad inchiodare definitivamente alle proprie responsabilità gli artefici del golpe e della conseguente dittatura. Nel paese degli astronomi, ai figli delle vittime delle torture può capitare di incontrare per strada i loro carnefici! La nostalgia della luce era anche quella nutrita dai prigionieri politici del campo di concentramento di Chacabuco, i quali lenivano le loro sofferenze osservando, appunto, gli astri con un rudimentale telescopio, fino a quando le autorità non lo proibirono per il timore che la volta celeste, un po’ come era accaduto agli schiavi delle piantagioni nordamericane, facilitasse l’orientamento di potenziali fuggiaschi. Paradossi, si diceva, ma anche analogie: il calcio contenuto nelle ossa delle vittime che affiorano nel deserto è lo stesso elemento chimico originatosi col big bang, il primo vagito dell'universo, precipitato sulla crosta terrestre per effetto dei meteoriti dopo un incommensurabile lasso di tempo. Ancora, gli astronomi vanno alla ricerca di corpi celesti, i cileni di corpi umani.
Nella trilogia di Guzman la dialettica tra presente e passato è continua: è come una tesa corda di violino dalla quale giunge un suono che invita al silenzio e all'ascolto, mentre la colonna sonora del film è sovente sostituita dai suoni prodotti dalla natura, come il vento che soffia nel deserto su ciò che resta delle installazioni minerarie. Guzman ci parla di pastori precolombiani vissuti 10000 anni fa e delle incisioni rupestri lasciate al loro passaggio: anch'essi hanno udito quei suoni. La poetica del regista consiste, inoltre, nel frequente ricorso alla dissolvenza, alla sovrapposizione di immagini, sempre nell'intento di evocare legami, nessi tra epoche o simboli che si richiamano a distanza. Nel corso della diegesi, Guzman dissemina, come un sagace Pollicino, concetti che poi enucleerá nei due film successivi: la necessità, ad esempio, di fare luce anche sul genocidio degli indios, inferiori e incolti agli occhi dei colonizzatori, ma in realtà acuti osservatori delle stelle. In conclusione, se è lecito esprimere un giudizio estetico, le immagini più belle de "Nostalgia della luce" sono quelle ricavate dall'osservazione notturna delle stelle.
cast:
Gaspar Galaz, Lautaro Nuñez, Luis Henriquez, Miguel Lawner, Victor Gonzalez, Vicky Saaveda, Violeta Berrios, George Preston, Valentina Rodriguez
regia:
Patricio Guzmán
titolo originale:
Nostalgia de la luz
durata:
90'
produzione:
Atacama Productions
sceneggiatura:
Patricio Guzmán
fotografia:
Katell Djian
montaggio:
Patricio Guzmán, Emmanuelle Joly
musiche:
Miguel Miranda