Ondacinema

recensione di Rudi Capra
8.0/10

Parte I (120 minuti). In bianco e nero, le peripezie professionali di Angela (Ilinca Manolache), addetta al casting stressata e sottopagata che guida nel traffico di Bucarest. Frammisti alla diegesi, spezzoni di un film del 1981 con protagonista un'altra donna al volante che gira per Bucarest ("Angela merge mai departe", L. Bratu) e i volgarissimi, esilaranti video satirici che Angela carica su TikTok.
Parte II (40 minuti). A colori, il risultato degli sforzi di Angela: la realizzazione di un video sulla sicurezza al lavoro commissionato da una multinazionale. Protagonista Ovidiu (Ovidiu Pirsan), un ex-dipendente divenuto invalido proprio sul posto di lavoro e tuttora in causa con l'azienda.

Al netto dei contrasti superficiali, Jude realizza il film a partire da un'architettura audiovisiva omogenea. Prevalgono le inquadrature fisse su spazi dinamici, come il traffico visto dall'abitacolo dell'automobile di Angela, gli interni domestici affollati, il set. Il fuoricampo assedia il profilmico da ogni direzione, infestandolo di suoni e figure che lo attraversano con la furia luminosa di una cometa. La profondità delle immagini le rende plastiche, luoghi in cui la distanza tra figura e sfondo è incerta, indecidibile. Lo sfondo non si lascia ridurre a sfondo, è bestia viva, assilla e assalta le figure. I personaggi si agitano nel tempo reale del piano sequenza, realizzando poco o niente. Ne esce una narrazione debole che ipertrofizza i personaggi. Ricorda un acquario, o TikTok, figure sgargianti che guizzano come pesci tropicali. Un palcoscenico ideale per la prova da istrione di Ilinca Manolache; senza di lei, il film perde intensità nella seconda parte.

Ma rimane impregnato di veleno. La combinazione di staticità dell'inquadratura e mobilità del profilmico dà corpo cinematografico a quella "stasi frenetica" che secondo Hartmut Rosa identifica la cifra dell'equazione impazzita della contemporaneità: muoversi per non arrivare da nessuna parte, fare e strafare per realizzare soltanto la propria impotenza. L'immagine come specchio opaco di una società esasperata dal darwinismo sociale. Individui che si predano fra loro, lo stato che preda gli individui, le multinazionali che predano lo stato. L'immagine come specchio che si guarda allo specchio, riflettendo la distanza tra gli spazi affollati e frenetici della Romania contemporanea e quelli vuoti e lenti, ma più umani, della Romania comunista. Una distanza che il montaggio sottolinea contrastando il b/n della storyline di Angela e il colore del film di Bratu, mostrando e tornando nelle stesse piazze e gli stessi viali di Bucarest dopo quasi mezzo secolo. Un mezzo secolo in cui il pane del benessere sembra avere soltanto acuito la fame che spinge ognuno a divorare il proprio simile.

Salta la barriera tra storia e attualità. Anche quella tra realtà e finzione, nel momento in cui si scopre che i genitori di Ovidiu sono, inevitabilmente invecchiati, i protagonisti di "Angela merge mai departe". Il tema del ruolo del cinema, e più in generale della realtà delle immagini, emerge prepotente. Bobiţa, l'alter ego di Angela, è contraffatto. Lo sono anche le immagini del filmato di sicurezza voluto dalla multinazionale, che forza Ovidiu a imitare il Dylan di Subterranean Homesick Blues e apre a modifiche in post-produzione che potranno influenzare la vertenza legale a proprio favore. Jude non risparmia nulla, né ai personaggi né agli spettatori, in questo lungo, estenuante piano sequenza finale.

"La finzione era lì dall'inizio, dai tempi dei Lumière, insieme a pubblicità e filmati aziendali" avverte il regista. E censura ripetutamente Ovidiu. Anche Jude gioca sull'ibridazione di documentario e fiction, di realtà e media-mondo, ma con l'intento opposto. Far implodere i linguaggi per evidenziare le contraddizioni che abitano inosservate la contemporaneità; con quell'ironia caustica e rassegnata, a tratti macabra, che è uno dei tratti distintivi della poetica di Jude e più in generale della cultura romena (si veda M. Rejmer, Bucarest. Polvere e sangue). Infarcito di citazioni colte (il titolo da Jerzy Lem, poi Baudelaire, DeLillo, tanto Zizek...) che dialogano coi social media, "Non aspettarti troppo dalla fine del mondo" è per metà un invito e per metà un ammonimento, pronunciato con il tono puntuale e rassegnato di un dottore conscio che il paziente non lo ascolterà. Smessi i panni picareschi del period drama ("Aferim!") e indossati quelli postmoderni del pastiche, Jude porta avanti la sua autopsia di una nazione e affonda le sue immagini affilate nella coscienza dell'Occidente - ormai talmente incancrenita che ha smesso di far male.


20/09/2024

Cast e credits

cast:
Ilinca Manolache, Nina Hoss, Uwe Boll, Ovidiu Pirsan


regia:
Radu Jude


titolo originale:
Nu aștepta prea mult de la sfârșitul lumii


distribuzione:
Arthouse


durata:
163'


sceneggiatura:
Radu Jude


fotografia:
Marius Panduru


montaggio:
Cătălin Cristuțiu


Trama
Angela guida per tutta Budapest per terminare il casting di un video sulla sicurezza commissionato da una multinazionale.