C'è una linea sottile che divide i film di Soderbergh dall'oggetto rappresentato. Non è tanto una questione di generi cinematografici, quindi categorie tematiche, e nemmeno un approccio che dipende dal mezzo e dalla sua grammatica. Piuttosto si guardi a come l'oggetto diviene strumento per altri tipi di riflessioni in una rappresentazione molto formale nella struttura, finanche ripetitiva, ma che puntualmente sposta la questione su altro che non sia la meccanica del cinema.
In "Unsane" la mascheratura thrilling/horror cedeva il posto alla destrutturazione psicologica e giurisdizionale degli USA, così come in "La truffa dei Logan" il meccanismo a orologeria inudibile e vuoto è volutamente il rintocco di un’antropologia cinica.
C'è (quasi) sempre da ridere della satira di cui Soderbergh riveste i suoi soggetti. Anche e soprattutto in una Detroit degli anni Cinquanta che sembra filtrata da un'ampolla. Quando un lunedì mattina qualsiasi l’ex detenuto Curt Goynes si dirige verso il suo nuovo lavoretto da 5 mila dollari non sa che dietro alla richiesta c'è un MacGuffin grande come le big four del mercato automobilistico.
Si parte dal punto più basso di una piramide sociale in vista, quella dei ladri e dei truffatori senza un luogo in cui stare. Se ne osservano i livelli mezzani, quelli dell'impiegato benestante che tradisce la moglie per rifarsi una vita in California. E si accede alle alte sfere del capitalismo finanziario ammantato dal verde delle banconote di grossa taglia, seducente con i suoi alcolici a 88 dollari all'ingrosso.
Si capirà dalla rinfusa sequela di elementi qui sopra elencati che siamo sempre nel dedalo di dialoghi ed eventi di Steven Soderbergh, rintronati dai meccansmi immobili di cui apparentemente non si ode il tic tac. Struttura ancora una volta molto schematica, quella del noir contrassegnato da nomi e contingenze assurde, l'ennesimo caper movie abitante il dramma in costume, bagnato da una fotografia che lavora rigorosamente in digitale. Quali che siano la categorizzazioni e i modi di leggerne le traiettorie, "No Sudden Move", che ha il titolo di un monito che potrebbe proseguire con or… tante sono le diramazioni disponibili, sparge riflessioni disparate sulla gentrificazione edilizia spietatamente razzista, sulle ingerenze capitalistiche e sui dubbi privati (morali) delle famiglie borghesi (ricchezza e verità a cosa portano?). In mezzo, il piccolo gangster di quartiere, che si trova dove non dovrebbe.
Il modo di fare film del prolifico talento di "Sex, Lies and Videotape" è cambiato a partire da "La truffa dei Logan" e non si tratta soltanto del nuovo modello produttivo che lo libera da alcune forzature dello studio system[1] o della natura del device di ripresa (gli iPhone in "Unsane" e "High Flying Bird"). Riguarda il sistematico rapporto tra la visione di Soderberh e la critica alla contemporaneità, condensato in un cinema che intrattiene lo spettatore con fare rigorosamente a là Soderbergh, insistente fino alla teorizzazione estrema, a volte cervellotico e convulso. Eppure spesso frainteso nei concetti di freddo, astratto, distante in senso negativo dalle storie raccontate, forse perché si guarda unitamente a fotografia desaturata e personaggi ascritti a una forte programmaticità.
Si osservi invece quella triste umanità tra le righe e la disperata ricerca di emergere da un tunnel che scava la società piramidale verso l'alto, allargandosi tra classi sociali, come sentenzia egocentrico un certo personaggio, mentre sullo sfondo il MacGuffin assume i connotati di una concreta partita a scacchi. E si guardi ancora allo scoramento di fondo, tra le pieghe ironiche di una società corrotta a ogni latitudine, come dimostra un architettato discorso sul peso della verità da parte di un rappresentante della legge.
Un'ampolla, si diceva, in cui "No Sudden Move" si muove liquido e imprendibile, tra nomi, svolte, agnizioni represse dentro al poderoso aspect ratio intorno al 2,40:1, variabile (ricordiamo che Soderbergh lavora alla fotografia e al montaggio sotto pseudonimi). Il vistoso lavoro sull'immagine, compressa ai lati dalle lenti anamorfiche, genera una "vignettatura" che, abbinata al lavoro sulla grana (anch'essa digitale) vorebbero restituire la sensazione di un film prodotto negli anni Cinquanta[2], ma piuttosto diviene una sintesi claustrofobica dei noir del tempo. Quasi una imitazione del genere che lo riduce a scheletro sottostante, mentre a livello narrativo emergono tutte le storture e i malesseri di un corrotto capitalismo in mano a pochi.
Il filtro di Soderbergh sulla sceneggiatura di Ed Solomon ("Now You See Me", "Men in Black") non è mai invasivo, lasciando che gli strappi ellittici e la rigidità del marchingegno si allaccino in una contorsione di sguardi, punti di vista e satiriche riflessioni sulla gerarchia. E alla fine i vincitori sono sempre gli stessi.
Per Soderbergh è l'ennesimo lunedì lavorativo svolto con chirurgica precisione.
[1] Soderbergh accenna al completo controllo creativo/produttivo/remunerativo legato alla possibilità di mantenere gli standard da grande studio e mandare il film in un elevato numero di sale. Fonte: intervista per entertainmentweekly.com
[2] Per i più interessati, il colorista Nat Jenkcs ha parlato delle sfide sul lavoro in post-produzione con un così invasivo effetto anamorfico sulle fonti di luce e sui colori poiché spesso i molti soggetti inquadrati si trovano a subirne l’effetto. Fonte: intervista per amplify.nabshow.com
cast:
Don Cheadle, Benicio Del Toro
regia:
Steven Soderbergh
titolo originale:
No Sudden Move
distribuzione:
Warner Bros.
durata:
115'
produzione:
Warner Bros. Pictures
sceneggiatura:
Ed Solomon
fotografia:
Peter Andrews
scenografie:
Hannah Beachler
montaggio:
Mary Ann Bernard
costumi:
Marci Rodgers
musiche:
David Holmes