Preludio. In appena dieci minuti, Lanthimos compone una sinistra fantasia che ha l’intensità rarefatta di un incubo e la compiutezza formale di un reticolo cristallino. La compenetrazione di fabula e forma, un adagio del cinema di Lanthimos, si esprime in "Nimic" attraverso la ripetuta giustapposizione con il movimento di sarabanda della "Simple Symphony" di Benjamin Britten, tanto che il primo minuto si può considerare interamente in J-Cut.
Adagio. La sarabanda, parola di etimologia persiana, di filtrazione arabo-ispanica, di comune uso nelle suite barocche come movimento lento e solenne, era in origine una danza vorticosa e promiscua, son endemoniado (Cervantes, "Il geloso di Estremadura"). Si percepisce immediatamente un forte legame con la poetica di Lanthimos, improntata alla rappresentazione delle pulsioni violente entro una forma irrigidita, simmetrica. Qui assume un aspetto speculare, mettendo un Matt Dillon violoncellista di fronte agli occhi minerali di Daphne Patakia. Una frase banale, "Do you have the time?" (non poi così banale quando il senso metaforico, possedere il tempo, sovrasta quello letterale, conoscere l’ora), innesca il tipico sberleffo à la Yorgos: la donna senza nome segue l’uomo senza nome fino a casa, lo imita, lo interpreta, gli ruba il posto.
Scherzo. Secondo Lacan∗, lo stadio dello specchio detiene un ruolo cruciale nella formazione dell’io (moi). Riconoscendo la propria immagine speculare, il soggetto si costituisce (costituisce-sé) in rapporto a un "altro" (petit autre). Incrociando lo sguardo di Dillon, Patakia compie un processo analogo e inverso, riconoscendo l’altro come immagine di sé e arrivando a identificar-si con esso fino alla completa sostituzione del soggetto originario, secondo uno schema caro all’archetipo mitologico e narrativo del doppelgänger. A sancire l’espulsione del soggetto (Dillon) per opera del doppio (Patakia) è un esperimento tattile, lo sfregamento dei piedi. Anche in questo caso il testo risponde a una lettura psicanalitica, perché a decretare la sostituzione interviene il registro dell’immaginario (imaginaire), ovvero l’insieme delle impressioni e immagini sensorie, che secondo Lacan assolve un ruolo cruciale nella formazione dell’io. Al soggetto apolide non resta che istituire un rapporto frequentativo con la precarietà (la metropolitana) in attesa di un nuovo ospite davanti al quale presentarsi come doppio.
Allegro, ma non troppo. Come ai tempi di "Alps", i personaggi non seguono un paradigma identitario ma piuttosto identificativo, sublimando il desiderio mimetico in performance rituali. L’iterazione del primo piano sull’uovo bollito, sul timer, il ciondolio davanti ai fornelli, la colazione in piedi mostrano che il talento di esistere dipende unicamente dall’interpretazione. In questo senso "Nimic" rappresenta una variazione sul tema conduttore del cinema di Lanthimos, sia nell’ebbra austerità che accompagna il racconto, sia nelle soluzioni tecniche – come le panoramiche grandangolari che non supportano l’esigenza di oggettivazione e imprimono alla realtà severe distorsioni. Ma a distorcersi sono soprattutto gli individui nel loro incessante incontro con l’Altro (Autre), che per Lacan non è da intendersi come "altra persona" ma piuttosto come luogo – luogo, anche linguistico, di ciò che rimane escluso dal soggetto e ne costituisce una perturbante negazione – aperto, altro, avverso, inquieto, irriducibile.
Finale. In fondo "Nimic" ("nulla"), che suona un po' come inamic ("nemico"), un po' come mimic ("imitatore"), e deriva dal latino ne+mica (anagramma di cinema), si propone appunto come il luogo dell’incontro con questa perturbante alterità, il mayhem delle relazioni umane che non si può esprimere attraverso il linguaggio ma solo prima e al di là di esso, tra le sue anse, le sue fenditure. In tale raffigurazione, inquietante e frammentaria, della modernità, si scorgono – anche nella locandina – i tratti di quella fobia dell’Altro che induce alla chiusura, la pulsione securitaria che domina l’individuo contemporaneo. Si obietterà che l’individuo contemporaneo è una pura astrazione, un profilo vuoto; eppure "Nimic" invita a specchiarsi proprio in quel vuoto, per riconoscerci.
∗ I concetti lacaniani cui faccio riferimento nel testo si trovano nei Seminari II, V, XXII.
cast:
Matt Dillon, Daphné Patakia
regia:
Yorgos Lanthimos
titolo originale:
Nimic
distribuzione:
Mubi
durata:
12'
produzione:
Adam Saward
sceneggiatura:
Efthymis Filippou, David Kolbusz, Yorgos Lanthimos
fotografia:
Diego Garcia
scenografie:
Daniela Schneider
montaggio:
Dominic Leung, Yorgos Mavropsaridis
musiche:
Rebecca Grierson, Nick Payne, Joe Rice