Agosto è un mese favorevole alla distribuzione dei lungometraggi di provenienza argentina. Se, l'anno scorso, era stato "
Il clan" di Paolo Trapero a trovare posto nello smagrito cartellone delle uscite agostane, questa volta tocca a Martin Hodara e al suo "Neve Nera" dare un contributo a quella che potrebbe diventare una vera e propria tendenza. Le coincidenze però non si fermano qui, poiché i film appena citati non sono solo opere che pescano buona parte del loro repertorio da codici appartenenti a prodotti di genere, ma che, in un modo o nell'altro, si preoccupano di mettere sotto accusa la famiglia e i rapporti che la regolano. Determinato a lasciarsi indietro gli anni più bui della sua storia, e quindi, a dedicarsi a progetti finalmente svincolati dalla necessità di rielaborare gli avvenimenti più tragici della cronaca nazionale, il cinema argentino si è affermato in tempi recenti, investendo i propri talenti in produzioni non per forza legate al blasone dei suoi autori (viene in mente Lucrecia Martel) ma per lo più caratterizzate da una drammaturgia accattivante e allo stesso tempo tragica ("Il segreto dei suoi occhi", 2009), in cui suspence e mistero la fanno da padrone. "Neve nera" rientra a pieno titolo all'interno di questa linea narrativa, raccontando la diaspora famigliare che coinvolge Marcos e Salvador (Riccardo Darin), costretti a ritrovarsi per diversi l'eredità del padre venuto improvvisamente a mancare. Segnata dalla scomparsa del fratello minore, verificatasi durante una battuta di caccia in circostanze mai del tutto chiarite, l'esistenza di Marcos e di sua moglie Laura (Laia Costa, già vista in "Victoria") entra in conflitto con quella di Salvador, il quale, addossatasi la responsabilità dell'incidente, vive da recluso negli stessi luoghi che tempo addietro sono stati testimoni del doloroso evento.
Ambientato nell'inverno di una Patagonia mai così respingente, "Neve Nera" si dipana tra il passato e il presente dei personaggi nel tentativo di fare luce sul reale svolgimento dei fatti attraverso un'indagine esistenziale che un poco alla volta riesce a portare a galla le ragioni dell'ostilità di Salvador nei confronti di Marcos. Invece di frammentare la narrazione con i flashback relativi alla giovinezza dei personaggi, quelli volti a ripercorrere gli avvenimenti culminanti nella circostanza delittuosa, il regista opta per una soluzione in cui le diverse scansioni temporali arrivano a convivere nella stessa inquadratura. Una scelta che permette a Hodara di rendere più fluida la progressione narrativa, regalandogli, nel contempo, la possibilità di intercettare la natura fantasmatica di una vicenda in cui ad un certo punto i protagonisti diventano i testimoni (oculari) di una sorta di seduta spiritica, dove, al centro della scena, ci sono le loro versioni giovanili, colte nell'esperienza che di lì a poco li riporterà sul luogo del delitto. L'efficacia di questo espediente non deve però ingannare sulla qualità complessiva della messinscena che rimane piuttosto dimessa e al di sotto della media per un prodotto di questo tipo. A pesare sul risultato finale è la piattezza delle immagini, incapaci di tradurre sul piano visivo lo scavo psicologico sostenuto dalla sceneggiatura. Ma più di tutto a mancare è un punto di vista sul paesaggio sudamericano, mai in grado di diventare protagonista della storia e di rappresentare quell'altrove che invece vorrebbe essere. Se poi aggiungiamo la decisione di ingaggiare un attore del calibro di Ricardo Darin per poi relegarlo in un ruolo che non gli consente di ripagare la fiducia accordatagli, il dado è tratto. Per sua fortuna, però, l'interesse nei confronti di "Neve nera" non si esaurisce con ciò che vediamo sullo schermo ma prosegue sul piano della realtà. Il ricorso a una "Storia ufficiale", usata per coprire d'onorabilità la lunga serie di misfatti di cui ci si è macchiati, il passato come strumento di conoscenza e luogo privilegiato della rappresentazione, le contraddizioni e la fragilità del consesso famigliare, trasformato in un laboratorio dove a essere verificata è la tenuta della coesione nazionale, sono costanti del cinema argentino contemporaneo di cui anche "Neve nera" si serve per mettere in scena il subconscio collettivo del paese.