Che altro può dire il cinema sul Medio Oriente? Che altro può mettere in scena Hollywood per imbastire in terra araba l'ennesima
spy-story piena di colpi di scena e inseguimenti mozzafiato? La risposta la suggeriscono David Ignatius (l'autore del libro "
Body of Lies"), William Monahan (che ne ha tratto un copione per il grande schermo) e Ridley Scott (che ormai sforna pellicole come se piovesse). Un complesso triangolo, composto da un grosso dirigente della Cia, Ed Hoffman, da un suo agente spedito sul territorio, Roger Ferris, e dal capo dei servizi segreti giordani, Hani, si muove tra svariate
location per provare a incastrare lo sceicco del terrore Al-Saleem, che sta spargendo sangue e terrore in tutta Europa.
Ancora una volta, il cinema americano guarda a Est per riflettere sulle ceneri dell'11 settembre. Nella storia di "Nessuna verità" non c'è nessuna nuova chiave di lettura. Torna la Cia, bugiarda e cinica, che ragiona di guerra dai giardini di Washington, pronta a sacrificare ignari informatori pur di raggiungere uno scopo che è sempre più lontano. C'è di nuovo lo spaccato di vita della civiltà araba, che vive sulla propria pelle i disastri di una guerra non voluta e neanche capita. E poi c'è, ancora una volta, l'uomo che si accorge dell'impossibilità di vincere senza vivere sul territorio: "Sei a milioni di chilometri da qui, come pensi di capire veramente che succede?", domanda a un certo punto un esausto Ferries (Leonardo DiCaprio, in grandissima forma) al suo capo Hoffman (Russell Crowe, bolso e appesantito come non mai). Il senso del film sta nella novità del personaggio di Hani (interpretato da Mark Strong). Apparentemente distratto, disinteressato a una vera pace duratura, preso più dalla difesa del suo feudo giordano, sarà lui, infine, a dare una lezione ai due americani: senza ascoltare chi in Medio Oriente ci vive da sempre, il terrore non si potrà mai sconfiggere.
Ridley Scott padroneggia la scottante materia, scadendo pochissime volte nella retorica spicciola. Nonostante la sceneggiatura non sia certo un campione di acume intellettuale e politico, il regista di "Alien" conferma il suo buono stato di forma, tirando fuori un robusto film di genere che tiene incollati dall'inizio alla fine. Con la sua solita magniloquenza (abbondanza di riprese a ogni scena, montaggio di Pietro Scalia come sempre pomposo) Scott compensa con lo spettacolo visivo le cadute di stile dello
script. Crowe è ovviamente troppo cinico, DiCaprio è obbligatoriamente troppo coinvolto, il sottotesto sentimentale è abbastanza appeso al nulla.
Però, si nota la mano sapiente di un vero autore: ripensando a vari film con lo stesso canovaccio (intrigo-Iraq-spionaggio), questo lavoro di Scott ha molte meno sbavature. Ambiziosa anche la scelta di attenersi al romanzo d'origine nel mantenere intatta la frammentazione di scenari: Iraq, Giordania, Siria, Turchia, Stati Uniti, Inghilterra, Olanda, Dubai. Con un susseguirsi di dissolvenze in nero e didascalie bianche, ci spostiamo in continuazione: la guerra globale è anche questo, una serie infinita di tracce sparse in giro per il globo.
"Nessuna verità" è anche una contrapposizione di caratteri: meno efficace, certo, di quella che meno di un anno fa avevamo visto in "
American Gangster" (che resta la cosa migliore che Scott abbia prodotto ultimamente), ma pur sempre tema centrale della nuova pellicola. I corpi di Hoffman e Ferries sono lo stereotipo di come gli americani vivono il perenne stato di belligeranza. Da una parte, l'impacciato, goffo dirigente che sbuffa ogni volta che non sa prendere la decisione giusta; dall'altra, il volto tumefatto e le ferite che continuano a sanguinare di chi rischia sul campo, ogni giorno, di finire torturato e ripreso da una videocamera in qualche tugurio da un nemico di cui non si sa, dopo tutto, ancora nulla.
22/11/2008