Siamo in campagna e la luce è calda e copiosa. In una panoramica si nota un fastidioso rumore visivo, e non è il primo, la parola giusta è disturbante. Tutto sommato disturbante-Abel Ferrara è un binomio che non va in disaccordo. Di solito la parola e il nome si trovano bene l'una di fianco all'altro e non può essere diverso in questo caso dove il film si concentra su un tema caro al regista: le origini. Origini inteso come passato personale e naturalmente quando si parla di Ferrara come genesi del male. Napoli come Buenos Aires, come Rio, come il Bronx di New York. Tutto sommato la città partenopea sta sullo stesso parallelo della Grande Mela, il regista ha lontane origini campane, quasi naturale che la memoria dell'uno incontri i vicoli, le voci, i racconti dell'altra. I luoghi si sovrappongono, giocano ad incastro perché in fondo popolati dagli stessi bisogni, dalle stesse necessità, da quei latrati di rabbia e frustrazione che emanano le periferie del mondo, quei luoghi ai margini del progresso, quei quartieri a due passi dalla ricchezza che però sprofondano nell'inedia.
Il punto di partenza è allora il punto più basso, l'oscurità sociale più profonda: il carcere. E proprio qui, nel cortile della casa circondariale di Pozzuoli che inizia il viaggio di "Napoli, Napoli, Napoli": nei racconti delle detenute, negli sguardi di disagio ed imbarazzo, nelle sigarette fumate una dopo l'altra. Le voci si accavallano e si intrecciano con tre microfiction che sanno di vita vissuta, tre vicende di tragica quotidianità, tre caratteristici bozzetti di umanità criminale e di disagio che sfociano nella violenza. Ognuna sceneggiata da un autore diverso: Gaetano Di vaio rielabora il suo passato di criminale attraverso una storia di un detenuto, Peppe Lanzetta descrive una vicenda familiare violenta e senza speranza e Maurizio Braucci un battesimo di sangue. Così tra il racconto di un tradimento e conseguente omicidio, tra l'intervista di chi ha occupato centri sociali per avvicinare ragazzi e tenerli lontani dalle strade, di chi lotta ogni giorno per affermare i diritti più elementari spesso spunta il regista con una domanda, un intervento, una riflessione. Viene data voce anche al sindaco della città e ad altre personalità locali. Ne esce fuori un ritratto complesso e stratiforme, un mix di fatalismo, speranza, scoramento. Un tentativo di leggere il luogo, le sue incongruenze perdendosi al suo interno, da Pozzuoli al centro, dai Quartieri Spagnoli alle Vele di Scampia seguendo le tracce della memoria, gli odori della strada, gli occhi degli scugnizzi e gli echi di Maradona che ancora si sentono nei nomi e nelle immagini.
La sua natura di ibrido rende il docu-dramma di Ferrara un'opera atipica, con diversi spunti di interesse ed indubbiamente con una sua forza, non fosse altro che per l'indignazione umana che induce nello spettatore, ma lascia molte perplessità. Forse proprio il suo statuto di opera di confine lo rende un oggetto non propriamente riuscito, a volte incerto nel suo sviluppo, ma forse proprio in virtù di questa sua debolezza, una testimonianza forte e reale di quel grumo di sofferenza, passione e vitalità che è oggi Napoli.
20/12/2009